NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Torna la mente incesa e inamorata.
     Più cavallieri antiqui per errore
     Quella unda maledetta avean gustata;
     Non la gustò Ranaldo, come odete,
     Però che al fonte se ha tratto la sete.

     Mosso dal loco, il cavalier gagliardo
     Destina quivi alquanto riposare;
     E tratto il freno al suo destrier Bagliardo,
     Pascendo intorno al prato il lascia andare
     Esso alla ripa senz'altro riguardo
     Nella fresca ombra s'ebbe adormentare.
     Dorme il barone, e nulla se sentiva;
     Ecco ventura che sopra gli ariva.

     Angelica, dapoi che fu partita
     Dalla battaglia orribile et acerba,
     Gionse a quel fiume, e la sete la invita
     Di bere alquanto, e dismonta ne l'erba.
     Or nova cosa che avente odita!
     Ché Amor vòl castigar questa superba.
     Veggendo quel baron nei fior disteso,
     Fu il cor di lei subitamente acceso.


     Nel pino atacca il bianco palafreno,
     E verso di Ranaldo se avicina.
     Guardando il cavallier tutta vien meno,
     Né sa pigliar partito la meschina.
     Era dintorno al prato tutto pieno
     Di bianchi gigli e di rose di spina;
     Queste disfoglia, et empie ambo le mano,
     E danne in viso al sir de Montealbano.

     Pur presto si è Ranaldo disvegliato,
     E la donzella ha sopra sé veduta,
     Che salutando l'ha molto onorato.
     Lui ne la faccia subito se muta,
     E prestamente nello arcion montato
     Il parlar dolce di colei rifiuta.
     Fugge nel bosco per gli arbori spesso:
     Lei monta il palafreno e segue apresso.

     E seguitando drieto li ragiona:
     - Ahi franco cavalier, non me fuggire!
     Ché t'amo assai più che la mia persona,
     E tu per guiderdon me fai morire!
     Già non sono io Ginamo di Baiona,
     Che nella selva ti venne assalire,


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