Ch'un nano avviticchiato era con quella;
Ed era quel piccin stato sì dotto,
Che la regina avea messa di sotto.
Attonito Giocondo e stupefatto,
E credendo sognarsi, un pezzo stette;
E quando vide pur, ch'egli era in fatto,
E non in sogno, a sé stesso credette.
A uno sgrignuto mostro e contraffatto
Dunque, disse, costei si sottomette,
Che 'l maggior re del mondo ha per marito,
Più bello e più cortese? Oh che appetito!
E della moglie sua, che così spesso
Più d'ogni altra biasmava, ricordosse,
Perché 'l ragazzo s'avea tolto appresso;
Ed or gli parve che scusabil fosse.
Non era colpa sua più che del sesso,
Che d'un solo uomo mai non contentosse:
E s'han tutte una macchia d'uno inchiostro,
Almen la sua non s'avea tolto un mostro.
Il dì seguente, alla medesima ora,
Al medesimo loco fa ritorno;
E la regina e il nano vede ancora,
Che fanno al re pur il medesmo scorno.
Trova l'altro dì ancor che si lavora,
E l'altro; e alfin non si fa festa giorno;
E la regina (che gli par più strano)
Sempre si duol che poco l'ami il nano.
Stette fra gli altri un giorno a veder, ch'ella
Era turbata e in gran malenconia,
Ché due volte chiamar per la donzella
Il nano fatto avea, né ancor venia.
Mandò la terza volta; et udì quella,
Che: Madonna, egli giuoca; riferia;
E per non stare in perdita d'un soldo,
A voi niega venire il manigoldo.
A sì strano spettacolo Giocondo
Rasserena la fronte e gli occhi e il viso;
E, quale in nome, diventò giocondo
D'effetto ancora, e tornò il pianto in riso.
Allegro torna e grasso e rubicondo,
Che sembra un cherubin del paradiso;
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