Opere di letteratura italiana e straniera |
Già era pervenuta alli orecchi del marchese la gran liberalità di Salardo, e vedendolo giovane, ricco, nobile, savio ed atto ad ogni impresa, li prese tanto amore, che non sapeva stare un giorno che egli non lo avesse con esso lui. E tanto era Salardo col marchese in amistà congiunto, che a chiunque voleva dal signore grazia alcuna, era bisogno che egli andasse per le sue mani, altrimenti la grazia non conseguiva. Laonde, vedendosi Salardo dal marchese in tanta altezza posto, se ingegnava con ogni studio ed arte di compiacerli di tutte quelle cose che giudicava potessero esserli grate. Il marchese, che parimente era giovane, molto di andare a sparviere si dilettava, ed aveva nella sua corte molti uccelli, bracchi ed altri animali, sì come ad uno illustre signore si conviene; né mai pur una sol volta sarebbe andato alla caccia o ad uccellare, se Salardo seco stato non fusse.
Avenne che, ritrovandosi Salardo un giorno nella sua camera solo, cominciò tra sé stesso pensare al grande onore che li faceva il marchese; dopo si riduceva a mente le maniere accorte, i graziosi gesti, gli onesti costumi di Postumio, suo figliuolo, e come egli gli era ubidiente. E così stando in questi pensieri, diceva: - Beh quanto il padre mio se ingannava! certo io dubito che egli teneva del scemo, come il più degli insensati vecchi fanno. Io non so qual frenesia, anzi sciocchezza lo inducesse a comandarmi espressamente di non dover allevare figliuolo da me non generato, né sottopormi alla testa d'un signore che solo signoreggiasse. Io ora vedo gli suoi precetti esser molto dalla verità lontani; perciò che Postumio è mio figliuolo adottivo né mai lo generai, ed egli è pur buono, savio, gentile, accostumato ed a me molto ubidiente. E chi mi potrebbe più dolcemente carezzare ed onorare di ciò che fa il marchese? Egli è pur testa sola, né ha superiore; nondimeno, tanto è l'amore che egli mi porta, e tanto mi onora, che basterebbe io li fussi superiore e che egli temesse me. Di che tanto mi maraviglio, che io non so che mi dire. Sono certamente alcuni vecchi insensati, i quali non ricordandosi di quello che hanno fatto nella loro gioventù, vogliono dar leggi ed ordini ai loro figliuoli, imponendoli carichi che elli col dito non toccherebbeno. E ciò fanno non per amore che li portino, ma mossi da una simplicità, acciò che lungamente stiano in qualche travaglio. Ora io di due delle gravezze impostemi da mio padre sono oltre la speranza riuscito a lieto fine, e presto voglio fare della terza larga isperienza; e tengo certo che la cara e dolce mia consorte mi confermerà molto più nel suo cordiale e ben fondato amore. Ed ella, che io amo più che la luce degli occhi miei, ampiamente scoprirà quanta e qual sia la simplicità, anzi pazzia, della misera vecchiaia, la quale allora molto più si gode, quando empie il suo testamento di biasmevoli condizioni. Conosco ben ora che 'l padre quando testava era di memoria privo e come vecchio insensato e fuori di sé faceva gli atti da fanciullo. In chi potrei io più sicuramente fidarmi che nella propia moglie? La quale, avendo abbandonato il padre, la madre, i fratelli, le sorelle e la propra casa; si è fatta meco una istessa anima ed uno istesso cuore. Laonde rendomi sicuro che io le posso aprire il mio secreto, quantunque quello importantissimo sia. Farò adunque isperienza della sua fede, non già per me, ché io sono certo mi ami più di sé medesima, ma solo tentarolla ad esempio de' semplici giovani, i quali scioccamente credono essere peccato irremissibile il contrafare a' pazzi ricordi de' vecchi padri, i quali, a guisa di uomo che sogna, entrano in mille frenesie e continovo vacillano. |