Mia madre lo dissuase; e cercò persuaderlo a rimettere quanto domandava ad altra epoca. Gli fece conoscere che il colonnello non acconsentirebbe alla nostra unione per la troppa nostra giovinezza, e per il grado troppo infimo che cuopriva.
Arturo non si acquietò: tentò convincerla, provandole che ottenuta l'approvazione di esser sua sposa, attenderebbe il tempo che piacesse ad essi, per unirci; che egli intanto cercherebbe ogni mezzo per cattivarsi la benevolenza de' suoi superiori, per potere al più presto possibile guadagnarsi un avanzamento.
Ma per quante ragioni, mia madre, ponesse in campo per rimandare ad altro momento un tal progetto non potè distoglierlo dal suo proposito. Arturo fu irremovibile al punto che mia madre dovè cedere, e promettergli tenerne parola a suo marito.
Nè mancai io pure, di pregare la mia ottima genitrice a secondare i nostri voti.
Infatti, la sera stessa, la povera mamma, ne tenne parola al suo sposo. Erano rinchiusi nel gabinetto. Io origliava alla porta, onde sentire la decisione; decisione per me di vita o di morte. Udiva a stento le loro parole: di quando in quando però la voce sonora ed aspra di mio padre, mi accertava che egli non era punto disposto a farci contenti.
La povera donna pregò, supplicò, pianse. Ma nè preghi, nè suppliche, nè lacrime commossero il cuore duro del proprio marito. Sconsolata, si ritirava, ed io fuggii nella camera attigua; ma mentre ella ritraevasi, seguitava sempre a scongiurarlo, e mi giunsero all'orecchie queste memorabili parole che mio padre pronunziò ad alta voce:
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Arturo
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