Si scosse e mi guardò con un'espressione d'inquietudine e di paura. Dovette leggere sul mio volto la simpatia e la benevolenza, poichè si rassicurò subito e mi rispose, con una voce un po' rauca: Oh, sì; soffro molto! Ma passerà anche questa!
Chinò il capo e si immerse in una profonda meditazione. Qual dolore era penetrato nell'anima di quell'uomo e da qual solitudine l'aveva cacciata in un ambiente, che, certo, non era il suo? Per qualche minuto non osai interrompere il suo doloroso fantasticare. Infine, mi decisi a parlargli di nuovo.
- Volete bere?, dissi, tendendogli la bottiglia dell'acquavite. Senza rispondere, egli la prese e se ne versò un bicchiere da vino. La bizzarria dei suoi modi non mi meravigliò; ero abituato a quella franchezza di gesto, a quelle rapide amicizie, offerte e accettate con pari simpatia, che distinguono gli innamorati della notte dai tranquilli e diffidenti lavoratori della vita diurna.
Il mio vicino beveva macchinalmente, trangugiando il liquido corrosivo senza battere ciglio. Di quando in quando mi guardava con curiosità, quasi volesse interrogare il segreto del mio pensiero. Terminata l'acquavite, volle ordinare e offrirmi del cognac, poi dell'absinthe. Pareva avesse riacquistata un po' di energia, poichè, adesso, non si abbandonava più al suo chiuso dolore, ma accettava una conversazione frammentaria e piena di reticenze, apportandovi il contributo della sua mobile fantasia e della parola agitata e febbrile. In due ore di dialogo seppi tutte le gioie dei figli delle tenebre ed imparai a scandagliare i profondi abissi del loro pensiero e della loro perversione incosciente.
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