- sclamò il Maso. - Ve lo infilzo come un tordo allo spiedo.
- Sta bene, hai qui la mia spada. Tienla per amor mio, te la regalo. E tu, mascalzone, - proseguì il Campora, contento di aver trovato una via così spiccia, - levati di qua; vattene al Borgo, se ti ricevono, e se questo giovinotto ti consentirà di arrivarci! -
Il Sangonetto cadeva, come suol dirsi, dalla padella nella brace.
- Messere, - balbettò egli, con voce piagnolosa, - chiudetemi in una prigione per tutta la vita, vi supplico...
- No, - rispose il Picchiasodo, - mi faresti scoppiar la prigione dalla vergogna. Va via! Fategli largo, voi altri! E tu, piglialo, da bravo!
- Ammazza! ammazza! - gridarono in coro i soldati, vedendo il Sangonetto che batteva il tacco verso la china.
- Non dubitate, - gridò il Maso, correndogli sull'orme, - è un uomo morto. -
I soldati del Campora e di Giovanni di Trezzo ebbero allora uno spettacolo di corsa, che nel Circo massimo, ai giuochi gladiatorii, non ebbe l'uguale il più famoso popolo della terra, Il Sangonetto, veduto andargli a male la sua ultima speranza, s'era dato a fuggire, e volava via come il vento. Come fu al ciglione del poggio, piegò improvvisamente a dritta, e giù a fiaccacollo, guadagnando una cinquantina di passi sul Maso che lo seguiva furente.
I soldati corsero sui greppi per averne l'intiero.
- Lo perde! - No, non lo perde! - Vedrete; là dietro alla macchia dei roveri lo raggiunge di certo. - Che! vedetelo là, il furfante; va via come una lepre. - Sì, ma l'altro è buon cane da giungere, e non gli dà troppo campo.
| |
Castel Gavone
Storia del secolo 15.
di Anton Giulio Barrili
Fratelli Treves Milano 1875
pagine 304 |
|
|
Maso Campora Borgo Sangonetto Picchiasodo Sangonetto Maso Campora Giovanni Trezzo Circo Il Sangonetto Maso
|