E troppa glie ne diede Giuseppe Giusti, quando gli fu messo in testa di curare l'edizione del Parini per il Le Monnier: se non la dottrina e l'ingegno di critico, l'orecchio e il gusto di poeta avrebbero dovuto avvertirlo a non raccattare ciò che il Parini aveva buttato36. Come potè il Giusti tenere non indegna del Parini una tale strofe?
In van con cerchio orribile,
Quasi campo di biade,
I lor palagi attornianoTemute lance e spade;
Però ch'entro al lor pettoPenetra non di men
Il trepido sospettoArmato di velen.
Non vide egli la incoerenza della comparazione e la prosaicità e la scolasticità degli ultimi versi? In paragone de' quali paiono belli questi nell'altra Vita rustica del Pompei:
Cosí mai sempre lieteEi va passando l'ore
In mezzo a solitudini remote.
Spegne nel rio la séte,
E l'acqua è a lui miglioreDe le bevande a i nostri climi ignote.
I sonni a lui non scuoteIl timido sospetto,
Che s'ange e s'addoloraDi mal non giunto ancora;
Ma sicuro è dormir sott'umil tettoDi povera capanna
Fatta di felce e canna.
Quella strofe nelle edizioni del Gambarelli e del Giusti precede l'altra, che è in tutte le stampe, dove il poeta sona la cetra sempre con un viso. E l'avrebbe sonata male da vero, anche peggio di quello che ci parve già, se avesse seguitato con questa strofe qui, che séguita veramente nelle due edizioni:
Non fila d'oro nobiliD'illustre fabbro cura
Io scoterò, ma sempliciE care a la natura.
Quelle abbia il vate espertoNell'adulazïon:
Che la virtude e il mertoDaran legge al mio suon.
E il Giusti non si fece caso del gergaccio accademico dei primi quattro versi?
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