dicčagli sempre Arrighetta. E il disgraziato, riempiuto di stregghie e gualdrappe, di cavezze e stivali, dovea dormire nelle rimesse, invidiando il compagno e le sacche, portate sopra in istanza, e piů che tutti, una certa borsetta con su un cagnolino in ricamo che la padrona mai non lasciava. La quale borsetta, poggiŕvasi ora contra il grosso baule; il cagnolino era quasi sparito, difeso invano dal pepe.
E, dietro a costoro, uno corto, a volta, peloso, mangiato mezzo dai topi. Esso avea servito il canňnico Sisto, prozěo paterno di Alberto. Puzzava ancor di caprino. E, piů di una volta e di due, avea fatto il viaggio di Roma (per ordir qualche male, s'intende) a triplo fondo e a segreti, come il padrone. Tutto al contrario di quella cassa-baule verniciata in celeste del capitano Pisani, spensierata e mai chiusa, come il cuor di colui; ora, zeppa di roba, nuova, fiammante, quando... tŕbulis rasis.
Poi se ne vedčan ben altri, servi fedeli, amici della famiglia. E il lungo e stretto baule, il quale insieme a Nicola, cugino del capitano, avea passato tre anni nei Barnabiti e gli avea nascosto i dolci e i romanzi... per rincasare da solo! e il cassone foderato in velluto del ciambellano Etelrčdi, padre di donna Giacinta, che rinchiudea chincaglierěa di Corte e livree, e che scampava la vita ad un Contardo Pisani, altro prozěo di Alberto, il quale usava firmarsi Cajus Calpurnius Piso, e agiva da tale; poi, tanti altri, e casse e bauli e valigie, screpolate e sdipinte, il cui ricordo era ito, ma tutti cari, giŕ un tempo, all'čsule e al viaggiatore, come porzioni della casa natěa. E astucci senza posate, e cappelliere senza cappello.
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