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      Sappiamo che anche i cavalli e gli elefanti (ma essi soli) possono imparare altrettanto.
      «Due cose si devono aggiungere: la propensione ad imitare e la vanità del barbone. Sempre guarda il suo padrone, sempre osserva quello che egli fa, sempre vuol aiutarlo. È il vero servo, gli obbedisce allo sguardo, pensa come un bambino del babbo, cioè che quello che egli fa sia giusto, e che esso possa o debba fare altrettanto. Se il padrone piglia una palla, eccolo che ne prende anche una fra le zampe, la vuol morsicare, s'inquieta se non gli riesce. Se quello cerca minerali per qualche scopo scientifico, anche il barbone cerca pietre; anch'esso cerca di scavare se il padrone scava; se siede alla finestra questo, quello non tarda a saltare sul banco vicino, puntella le due gambe sul davanzale e ammira il paesaggio. Vuol ancor esso portare il bastone o il canestro, perché il padrone o la cuoca li portano. Li porta con sussiego, si ringalluzzisce, va dall'uno all'altro per far vedere quanto egli è garbato, e scodinzola tutto soddisfatto. Mentre porta non si piglia pensiero degli altri cani; sembra considerarli come buoni a nulla, e gli altri invece sembrano ammirarlo.
     
     
      Barbone[vedi figura]
      «Il barbone è il più stimato (non il più temuto), il più amato dei cani, perché è quello che ha l'indole migliore. È particolarmente caro ai bambini, perché se ne lascia in ogni guisa stuzzicare, cavalcare, stiracchiare, senza brontolare, mordere, o mostrarsi impaziente. Per affamato che sia gli si può andar a pigliare tra le fauci quel che mangia, cosa che tollerano pochi cani.


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I cani
di Michele Lessona
pagine 128