Minerva. Or di’, è smogliato?
Mercurio. Non credo.
Minerva. Ed ha genio pe’ combattimenti? è vago di gloria? o è tutto bovaro ?
Mercurio. Il vero non so dirtelo: ma si dee credere che, giovane com’è, si troveria a menar le mani, e vorria essere il primo nelle zuffe.
Venere. Vedi ora? io non ti rimprovero nè ti sgrido che parli segreto con costei. Sdegnerebbesi ogni altra; Venere no.
Mercurio. Ella mi dimandava quasi la stessa cosa: non averlo a male nè a dispregio, se così nella semplicità le ho risposto. Ma mentre parliamo così andando, abbiamo lasciato gli astri molto indietro, e siamo quasi sopra la Frigia. Io scorgo l’Ida, e tutto il Gargaro chiaramente; e, se non m’inganno, anche il vostro giudice Paride.
Giunone. Dov’é? io non lo discerno.
Mercurio. Qui, o Giunone, riguarda a sinistra, non su la cima del monte, ma su la costa, vedi quell’antro, quella mandra.
Giunone. Non vedo mandra.
Mercurio. Come dici? Non vedi i vitelli, lì, dove io dirizzo il dito, che escono di mezzo le pietre, e colui che scende di quel ciglione col vincastro in mano, e sforzasi di non far più sbrancare la mandra?
Giunone. Vedo ora: ed è quegli?
Mercurio. È desso. Ma poichè siamo già presso alla terra, discendiamo, se vi pare, e camminiamo, per non ispaurirlo volandogli addosso all’improvviso.
Giunone. Ben dici, e così facciamo. Ma poichè siamo discese, va innanzi, o Venere, e mostraci la via: tu devi ben conoscere la contrada, chè spesso ci sei venuta a trovare Anchise.
Venere. Io non mi sdegno per motti, o Giunone.
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