Ora lo vedo la prima volta, avendone udito sempre parlare.
Mercurio. Quello, o Caronte, di che tanto si parla, e che tanto si cerca.
Caronte. Eppure io non vedo a che è buono, se non a pesare su le spalle di chi lo porta.
Mercurio. Non sai quante guerre per esso, ed insidie, e furti, e spergiuri, e uccisioni, e lunghe navigazioni, e traffichi, e catene, e servitù.
Caronte. Per esso, che non è molto differente dal rame? Io conosco il rame, perchè sai, o Mercurio, ch’io riscuoto l’obolo da ciascuno che tragitto.
Mercurio. Sì, ma il rame se ne trova molto, e però è men ricercato: l’oro è raro, e lo cavano a molta profondità: ma anche esso è dalla terra, come il piombo e gli altri metalli.
Caronte. Che grande sciocchezza è questa degli uomini, amare tanto una cosa gialla e pesante.
Mercurio. Almeno Solone pare che non l’ami, come tu vedi; e si ride di Creso e delle sue barbare spampanate: ma parmi che voglia dirgli qualche cosa: ascoltiamolo.
Solone. «Dimmi, o Creso, credi tu che Apollo abbia bisogno di cotesti tuoi mattoni d’oro?»
Creso. «Altro! In Delfo ei non ha offerta come questa.»
Solone. «Dunque tu credi che il dio sarà lietissimo di avere tra gli altri doni, anche mattoni d’oro?»
Creso. «Come no?»
Solone. «O Creso, tu fai il cielo molto povero se ci si dovrà mandar l’oro dalla Lidia, quando gli Dei ne vorranno.»
Creso. «E dove ci saria tant’oro quanto n’è tra noi?»
Solone. «Dimmi: e ferro ve n’è in Lidia?»
Creso. «Poco.»
Solone. «E vi manca il meglio.»
Creso. «Come! meglio il ferro dell’oro?
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