Alle due circa pomeridiane giunsero da Venezia alla sua casa i suoi due nipoti, signor Bastian Gaggio, e sua sorella Teresa, moglie del signor Antonio Gozzato. La loro comparsa restituì al Buratti il solito suo lieto umore. In questo frattempo passò dinanzi la sua casa il di lui amico ingegner Angelo Artico, che recavasi a Treviso. Il Buratti lo pregò ad esser della partita, e pranzaron tutti del miglior umore. Egli non mangiò oltre il suo solito, nè ha bevuto che quanto era di suo costume. Lesse alla comitiva con brillantissimo umore alcune sue poesie. Finito il pranzo, fu servito il caffè. Egli trovavasi con tutti gli altri nella sala (erano circa le sei pomeridiane) quando ordinò che si chiudesse una porta, perchè infastidito dall’impressione dell’aria. Ciò detto cessò di vivere da colpo di apoplessia. Il medico di Mogliano, sig. Flora, che per azzardo passava in quel mentre dinanzi la sua casa, gli cacciò sangue senz’alcun effetto.
Così finì di vivere nell’età di sessant’anni e giorni sette il primo fra tutti i poeti che scrissero in vernacolo, l’ottimo fra i mariti, il più affettuoso e saggio padre, ed il migliore fra tutti gli amici, se il satirico demonio non l’avesse predominato.
Il Cicogna ricorda che mentre il cadavere del poeta era ancora caldo, i birri invasero la sua casa, perquisirono le sue carte, e ne portarono via a sacchi.(158) Fortunatamente gli originali delle poesie li conservava il Da Mosto, che in seguito li restituì alla famiglia, tenendo per sè la nota raccolta, montante a dodici volumi, fatta coll’intendimento di regalarla al Buratti come avesse cessato di scrivere, lontano assai dal pensare che gli sarebbe sopravvissuto ventisei anni.
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