Poi nemmeno più questo. In parlamento bisognava andarci per profittare della tribuna parlamentare, per scoprire e denunciare al popolo i dietro scena della politica, per avere dei posti avanzati nel campo nemico, dei posti presi nella cittadella borghese.
Il deputato socialista non doveva essere legislatore, non doveva aver nessun legame coi deputati della borghesia, ma stare in parlamento come spettro minaccioso della rivoluzione sociale in mezzo a coloro che vivono dei sudori e del sangue del popolo.
Ma che!… oramai si stava sulla china e bisognava andare fino in fondo. Il partito rivoluzionario, che entrava in parlamento, doveva diventar riformista, e lo diventò.
L’emancipazione integrale, cominciarono a dire, è una bella cosa, ma è come il paradiso: una cosa lontana e che nessuno ha visto mai. Il popolo ha bisogno di miglioramenti immediati. Meglio poco che nulla. La rivoluzione sarà tanto più facile quanto più concessioni ci saranno strappate alla borghesia.
Senza contar quelli, pochi, del resto, che hanno saltato il fosso ed affermano addirittura che si può raggiungere lo scopo per evoluzione pacifica.
E s’invocò la scienza, quella povera scienza che s’accomoda a tutte le salse, per sofisticare all’infinito sul tema evoluzione e rivoluzione; quasichè vi fosse alcuno che neghi l’evoluzione, e la questione non fosse piuttosto sulla specie di evoluzione, che più corrisponde al fine socialista e che quindi i socialisti devono propugnare.
La rivoluzione non è essa stessa che un modo di evoluzione; modo rapido e violento, che si produce, spontaneo o provocato, quando i bisogni e le idee prodotte da una evoluzione precedente non trovano più possibilità di soddisfarsi, o quando i mezzi accaparrati da alcuno fanno sì che l’evoluzione oramai si svolgerebbe in senso regressivo, se non intervenisse a rimetterla in via una forza nuova: l’azione rivoluzionaria…
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