Questo dico, tralasciando le proteste sulla mia insufficienza a questo proposito; giacché disgraziatamente questa a tutti è nota, e d'altra parte l'argomento è tanto sublime, che se, non solo io, ma qual che sia non esitasse innanzi a tale impresa, sarebbe tale un'audacia da non supporsi possibile.
Fu solo mio intendimento che innanzi d'inoltrarci in simili studi si ponesse in discussione questo argomento, acciò ne risultassero alcuni criterii da noi generalmente accettati. Se questi non si ponessero, e giudicassimo i diversi e grandi poeti, che si avverranno nella nostra via, comparativamente al nostro gusto, ciò provocherebbe, per troppo individuali opinioni, una infinità di dispute, e forse la impossibilità di comprenderci.
Perocché, generalmente, il giudizio sovra ogni scienza emerge dal confronto delle varie opere che si occupano della scienza stessa, con verità chiare di per sé, e comunemente riconosciute, e matematicamente probabili.
Nell'apprezzamento del bello, le opere che lo hanno per oggetto, sí per esser ciò naturalmente piú difficile, sí per esserne stati generalmente disconosciuti gli elementi, la natura e lo scopo, si operò molto diversamente. In generale gli estetici si occuparono, quali con maggiore, quali con minor successo, del fatto, anzi che della filosofia del fatto. Dissero: questo è bello; ma perché sia bello, non dissero, e ne fecero una teoria divisa dalla grande armonia del vero.
Da ciò le interminabili dispute. Se si fossero gli uomini accordati nel porre a simili studi, come quasi a tutti gli altri, una meta . . . .
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