Opere di letteratura italiana e straniera |
La sconsolata donna, veggendo che pure a crudel fine riuscivano le parole dello scolare, ricominciò a piagnere e disse: - Ecco, poi che niuna mia cosa di me a pietà ti muove, muovati l'amore il qual tu porti a quella donna che più savia di me di' che hai trovata e da cui tu di' che se' amato, e per amor di lei mi perdona e i miei panni mi reca, ché io rivestirmi possa, e quinci mi fa smontare.
La donna, sopra la torre rimasa, quantunque da sciocca speranza un poco riconfortata fosse, pure oltre misura dolente si drizzò a sedere, e a quella parte del muro dove un poco d'ombra era s'accostò, e cominciò accompagnata da amarissimi pensieri ad aspettare: e ora pensando e ora sperando e or disperando della tornata dello scolare co' panni, e d'un pensiero in altro saltando, sì come quella che dal dolore era vinta e che niente la notte passata aveva dormito, s'addormentò. Il sole, il quale era ferventissimo, essendo già al mezzogiorno salito, feriva alla scoperta e al diritto sopra il tenero e dilicato corpo di costei e sopra la sua testa, da niuna cosa coperta, con tanta forza, che non solamente le cosse le carni tanto quanto ne vedea, ma quelle minuto minuto tutte l'aperse; e fu la cottura tale, che lei che profondamente dormiva costrinse a destarsi. E sentendosi cuocere e alquanto movendosi, parve nel muoversi che tutta la cotta pelle le s'aprisse e ischiantasse come veggiamo avvenire d'una carta di pecora abbrusciata, se altri la tira: e oltre a questo le doleva sì forte la testa, che pareva che le si spezzasse, il che niuna maraviglia era. E il battuto della torre era fervente tanto, che ella.né co' piedi né con altro vi poteva trovar luogo: per che, senza star ferma, or qua or là si tramutava piagnendo. E oltre a questo, non faccendo punto di vento, v'erano mosche e tafani in grandissima quantità abondanti, li quali, ponendolesi sopra le carni aperte, sì fieramente la stimolavano, che ciascuna le pareva una puntura d'uno spuntone: per che ella di menare le mani attorno non restava niente, sé, la sua vita, il suo amante e lo scolare sempre maladicendo. E così essendo dal caldo inestimabile, dal sole, dalle mosche e da' tafani, e ancor dalla fame ma molto più dalla sete e per aggiunta da mille noiosi pensieri angosciata e stimolata e trafitta, in piè dirizzata, cominciò a guardare se vicin di sé o vedess o udisse alcuna persona, disposta del tutto, che che avvenire ne le dovesse, di chiamarla e di domandare aiuto. Ma anche questo l'aveva la sua nimica fortuna tolto. I lavoratori eran tutti partiti de' campi per lo caldo, avvenga che quel dì niuno ivi appresso era andato a lavorare, si come quegli che allato alle lor case tutti le lor biade battevano: per che niuna altra cosa udiva che cicale, e vedeva Arno, il qual, porgendole disiderio delle sue acque, non iscemava la sete ma l'accresceva. Vedeva ancora in più luoghi boschi e ombre e case, le quali tutte similmente l'erano angoscia disiderando. Che direm più della sventurata vedova? Il sol di sopra e il fervor del battuto di sotto e le trafitture delle mosche e de' tafani da lato sì per tutto l'avean concia, che ella, dove la notte passata con la sua bianchezza vinceva le tenebre, allora rossa divenuta come robbia, e tutta di sangue chiazzata, sarebbe paruta, a chi veduta l'avesse, la più brutta cosa del mondo. |