NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Bonamico rispose: - Io non ho veduto cosa che sia, perecché ho dormito e ho tenuto gli occhi chiusi; maravigliomi io che non m'avete chiamato a vegliare come solete.
     Dice Tafo: - Come, a vegliare? ché io ho veduto cento demoni per questa camera, avendo la maggiore paura che io avesse mai; e in questa notte, non che io abbia avuto pensiero al dipignere, ma io non ho saputo deve io mi sia; e per tanto, Bonamico mio, per Dio ti prego, truovi modo che noi abbiamo un'altra casa a pigione: usciamo fuori, perocché in questa non intende di star più, ché io son vecchio, e avendo tre notti fatte, come quella che ho avuto nella passata, non giugnerei alla quarta.
     Udendo Bonamico il suo maestro così dire, dice: - Gran fatto mi pare che di questo fatto, dormendo presso a voi, com'io fo, non abbia né veduto né sentito alcuna cosa: egli interviene spesse volte che di notte pare vedere altrui quello che non è, e ancora molte volte si segna cosa che pare vera e non è altro che sogno: sì che non correte a mutar casa così tosto, provate alcun'altra notte; io vi sono presso, e starò avvisato, se nulla fosse, di provvedere a ciò che bisogna.

     Tanto disse Bonamico, che Tafo a grandissima pena consentì; e tornato la sera a casa, non facea se non guardare per lo spazzo che parea uno aombrato; e andatosi al letto, tutta la notte stette in guato, sanza dormire, levando il capo e riponendolo giù, non avendo alcune pensiero di chiamare Bonamico per vegliare a dipingere; ma più tosto di chiamarlo al soccorso, se avesse veduto quello che la notte di prima.


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