(Da Le Novelle, XIV)
RUBERTO DA CAMERINO E GENTILE
Ruberto da Camerino, amando Gentile, dè ordine con maestro Lamberto, fingendo che male gli facesse il dormire con Tarsia sua donna, per modo che con Gentile si dormia; e la Tarsia, avvedutasi del fatto, seppe dare modo che Gentile proprio de' suoi mali ristorò lei. E Roberto al signore Berardo la sua donna accusò che gli facea fallo: la quale comparita al signore provò non avere fallito di niente.
I
N Camerino, al tempo del buon signore Berardo vecchio, era ricco cittadino e d'assai nella grazia del signore e del segreto Consiglio, il quale Ruberto Latielanti si chiamava, giovene, e aveva per donna una bellissima giovane e d'assai che Tarsia aveva nome, e gran bene si volevano insieme. Accadde che Ruberto d'uno garzone s'innamorò, il quale spesso da mane e da sera passava dinanzi alla casa di Ruberto perché sua via era, il quale si chiamava Gentile. Era costui d'età d'anni diciotto, grazioso molto e bellissimo di persona e di viso, costumato e d'assai: di che a Ruberto crescendo ogni dì il focoso amore, seppe sì fare che di Gentile ebbe suo attento. E volendosi Ruberto guardare che non si sapesse; essendo da uno canto da amore e dall'altro da onestà combattuto, amore vinse la punta: e per potere ad agio e spesso con Gentile ritrovarsi, veduto che di notte più che di dì fare si potea; pensato in che modo Tarsia sua donna potesse ingannare, prese partito, con aiuto di maestro Lamberto da Castello fiorentino, medico e molto suo amico, venirne allo effetto. Il quale ebbe ad agio e 'l pensiero tutto gli disse chiedendogli adiuto e profferendoli danari assai, se la faccenda fatta venisse. Il medico ghiotto del danaro, d'ogni cosa a fare s'intese con lui, d'ingannare Tarsia, e Ruberto fusse di suo volere adempito. E compostisi insieme per venire all'effetto, Ruberto sì come era ordinato cominciò a Tarsia fare assai più carezze che non solea fare, ed ogni volta che carnalmente usava con lei, fingeva che gran male li facesse; e con tutto 'l male, come volea la moglie, mostrava che d'amor di lei tutto si struggesse, dicendole: Deh, riposo mio, stammi da presso se tu vuoi ch'io guarisca, che non ho bene se non quando ti veggo. Ed ella pura e con gran diligenzia lo governava; e dimostrandosi lui volere usare alle volte con lei, ella per riguardo di lui non voleva, ed esso allora più si mostrava volere, ed ella fuggia; e lui per fare quanto col medico aveva composto pure alle volte usava con lei, e subito ricadeva in quel difetto di prima, dimostrando dolerli la testa e venirgli certi abbaglioni di cadere colcandosi a letto, con più male mostrando avere che l'altre volte di prima. Allora lui ben vezzeggiando la moglie, ed essendo questa mena già più volte durata, e più fiate venuto Lamberto a curarlo, la madre di lui e la donna dimandando lo maestro da canto come Ruberto stesse, loro disse: Donne mie, costui è d'una natura da non consigliano che'e' tollesse mai donna; e se non si ripara, costui viverà poco tempo: e conchiudendo, usando Ruberto pure una notte con lei, sì pessimamente dimostrò ricadere con debilezze, lassandosi cadere, e nel parlare variando, lagnandosi molto della testa e della schiena, non aprendo mai occhio se non quando sentìa la sua dolce moglie parlare, che tutto per lei pareva che si struggesse; di che subito mandato per maestro Lamberto, egli che composto avea con Ruberto di quel che fusse da fare, copertamente in uno guscio di nocciuola un poco di cervello di capretto portò, il quale presto, che nissuno se n 'avvide, come prese il segno, in mano, nell'orinale lo cacciò, e rimirandolo fece de' sozzi atti con gli occhi; per lo quale le donne, tirato il maestro da canto, dissero: Che ve ne pare? Il quale alle donne, dopo un gran suspiro, disse: Donne mie, io vi vuo' dire la verità, e gran conscienzia me ne farei se nol dicessi a voi e a lui. E voltosi alla moglie, disse: Voi e non altri occiderete costui. Oimè trista (diss'ella) oh, io perché? A cui disse 'l maestro: Io vel voglio chiaramente mostrare. Io veggo nel segno di costui che lui molto v'ama, e per lo usare che fa con voi tutto si consunta per modo ch'egli ha già vuoti i lombi e la schiena: e ora bisogna che 'l cervello alla sua sfolgorata voluntà vi consenta, per modo che per certi meati e venuzze è necessario che con l'orina insieme si distilli: e che questo sia vero, ecco nella sua orina parecchi pezzuoli di cervello! Esse, veduto questo, certo tengono che così sia, e forte lamentandosene, il Maestro disse: Per piang
ere non si guarisce costui; e volendo scamparlo, solo uno modo ci è: che voi, monna Tarsia, stiate uno anno che voi non dormiate né usiate carnalmente con lui, ed io vi prometto in questo tempo fare li si raffermi il cervello che più caso non li farà. E voglio che dorma in una camera più fresca che questa, solo, senza persona. E se questo farete, io vel darò sano e salvo. La valente Tarsia rispose: Non che un anno, ma sempre vuo' dormire senza lui acciò che viva, ed io sotto la sua meriggia a onore possa vivere. A cui il Maestro disse: Iddio vi facci del bene! E allora tutti tre a Ruberto n'andaro, a cui il Maestro disse: Fratel mio, vuo' tu guarire? A cui egli rispose: Sì, se a Dio piace. Il Maestro li disse: Vedi, Ruberto, e' bisogna che tu stia un anno intero che tu con Tansia tua donna non dorma; se non, tu se' morto; assegnandogli come il cervello si distillava in orina. Esso che sapeva quello che era, fece atto molto turbato e spaventevole, rispondendo al Maestro: Oimè, che dite voi? Innanzi voglio morire che senza lei stare tanto tempo! E qui fece molti atti e dimostrazioni di non volere, e la madre piangea, pregandolo che 'l facesse, e la Tarsia similmente: e in fine bisognò che i parenti pregassero il signore Berardo che vi s'adoperasse. Il quale benignissimo signore in persona v'andò; e prima con preghiere, poi con comandamenti bisognò che Ruberto alla volontà del signore s'arrecasse. Il signore volse da lui e da lei gran sacramenti che gli osservarebbero quello che gli avevano promesso; ed essi così fecero. E poi il signore e la madre di Ruberto vi posero guardia, ponendovi gran pena se non l'osservassero. Di che bisognò che come il medico e lui avevano composto, che Ruberto nella camera a piano allato all'orto fusse portato; ed me si curò e guarì. E guarito, come uscì fuore, con Gentile s'intese in forma che, fattoli le chiavi di nuovo da potere al letto di Ruberto a sua posta arrivare: e acciò che non fussero di dì insieme a parlare o praticare veduti, composero un segno d'un testo di basilico che su la finestra di Ruberto stava, che quando Gentile vedesse che 'l testo non vi fusse, allora quella notte andasse con lui a dormire, entrando per l'orto alle due ore di notte; e così più mesi durano. E la Tarsia che puramente ogni mattina quel letto faceva, una mattina s'avvide che più che uno v'era dormito la notte, e presene ammirazione, pensando anche in quel testo di basilico che Ruberto sì spesso levava di su la finestra, e dèssi ad intendere che qualche segno composto quello dovesse essere. Accadde poi una mattina che avendo ella la sera innanzi alcuni panni bianchi posti sul letto, trovovvi un paio di brache scambiate. Ella allora, come savia, tace e pon mente e come scaltrita fece uno bucarello nel palco che veniva sopra il letto di Ruberto, e ine ogni sera stava uno pezzo a guardare; onde chiaramente vidde e cognobbe venire Gentile con Ruberto a dormire; e compresa la cagione, prese partito di ciò che fusse da fare. Accadde che 'l signore Berardo mandò per suoi bisogni Ruberto a Pesano, ove bisognò che dieci dì stesse. Di che la Tarsia non stette a perdere tempo, ma l'altro dì levò il testo di su la finestra, perché aveva una sera fra l'altre udito che Ruberto aveva detto a Gentile; perché non ci venistu iersena che ti feci il segno di levare il testo? Esso rispose, che non se n'avvidde, che gli perdonasse; e che oggi sì, e però ci era venuto. Di che Gentile, non sapendo che Ruberto fusse andato di fuore, ché secretamente di notte era andato per bisogni del signore, passando quel dì da casa di Ruberto, veduto quel segno che v'era il testo, andò puramente per albergare con Ruberto come era usato di fare. La,valente Tarsia s'era provveduta, e lassato il lume acceso come Ruberto usava di fare, e nel lato di Ruberto s'era colcato. Giognendo Gentile, essa di dormire facea vista. Gentile, credendo che essa sia Ruberto, si spoglia e allato a' lei acolcatosi s'avvidde che Ruberto non era; e fiso guardando, cognobbe che la bella Tarsia era. Prima meravigliossi, e poi di niente l'ebbe discaro, e correndoli nel pens
iero molte cose, per le quali quanta voluntà giovenile lo trasportava e a poco a poco a lei s'accostava. E ella che prima s'era col corpo per modo e per lo verso assettata, che agevole cosa era in parte della possessione per lo primo decreto entrare in tenuta, questo era quello che lui forte infocava; e tanto a poco a poco si venne accostando, che 'l ramaiuolo per far le minestre su l'orlo della scoperta pignatta posava, e più oltre non s'ardiva di andare. Ella compreso la sua voluntà e la temenzia che aveva, seppe prender partito; e acciocché lui per viltà o per paura non si fuggisse di ratto facendoli ella spaventevoli assalti o di gridare o minacciare o altro, sì come savia, a poco a poco fe' vista cominciarsi a destare; e fingendo per lo caldo mutare verso, Gentile s'accostò in forma che nella, pentola tutto 'l ramaiuolo sdrusciolò. Ella siccome nuova fusse di questo, con atto spaventevole le mani sul petto li pose con dire: Chi è qui, e chi se' tu? tirando indietro la faccia e innanzi il corpo pignendo. E lui rispose: Io so' il vostro servidore Gentile. Ella perché non si fuggisse lo strigne, dicendo: O tu come c'entrasti? come ha avuto tanto ardire, che allato a me colcato ti sia? A cui il temente garzone disse: Madonna, se voi mi promettete perdonarmi, io vi dirò la verità, come puramente i' ci sono intrato, e non per farvi alcuna vergogna. Disse lei: Questo non è possibile; ma se mi fai chiaro di quel che tu dici, son contenta di perdonarti. E lui a lei disse: Poi che così è, io vi farò chiara di ciò ch'io v'ho detto. Ed ella ascoltando, tutto per ordine il fatto di Ruberto le contò, e del segno del testo, e che per non vederlo quel dì in su la finestra era venuto per dormire con Ruberto; ma poi che così era intervenuto, le domandò perdonanza, croce delle braccia facendole. La valente Tarsia dopo uno grando sospiro saviamente rispose: Io ho considerato la tua qualitade col puro parlare, e veramente credo ciò che tu dici essere vero, e che per contento di Ruberto, e non per me tu sia qui arrivato. E anco considero l'amore che mi porta il mio diletto marito che s'ingegna contentarmi in ciò che è possibile a lui; e avendo egli rispetto alla mia gioventudine, dovendo uno anno stare che non dorma con meco, ha provveduto dare a' miei mancamenti soccorso d'uno giovane atto come se' tu: sì che così essendo, con ragione né di te né di lui i' non m'ho a lagnare. Pur nondimanco questi sono stremi partiti, e tu ed io cognosco che ci siamo innocenti, e condutti in questa forma abbiamo di buon consiglio bisogno, volendo il nostro onore conservare. E pure fra noi è necessario che tale questione si determini: or dunque consiglia quello che ti pare di fare. Gentile che struggere si sentiva, non sa che rispondere, ma vista facendo di dormire, il corpo verso lei protendeva, ed ella similemente faceva; e sotto colore di dormire, nel vegliante sonno il cavèdano nella tesa rete tutto sdrucciolò, nella quale intascato, bisognò che più e più efficaci ragioni assegnasse prima che avesse licenzia. E none stando a quella contenti, più fiate con piacevoli petizioni a quella sentenzia appellano quella notte: e poi la mattina pacificati, composero per l'avvenire che ognora che 'l testo su la finestra non fusse, lui andasse da Ruberto, e quando vi fusse, con lei e non con Ruberto colcarsi. E così continuando, la Tarsia ingravidò: la cui peccia crescendo, e Ruberto avvedutosene, subito pensò farla morire, e al signore Berardo se n'andò, dicendo: Signore, io v'addomando consiglio e aiuto. La mia donna m'ha fatto fallo, ed è gravida d'altri che di me, Il signore di ciò molto si dolse, e disse: Io la voglio esaminare; e dè onestamente ordine d'averla all'esamine. La quale comparita, e dal signore forte ripresa; ella che prima con Gentile era composta, rispose: Signore mio, egli è vero che son gravida, in forma che riprensione io non merito alcuna; ma lo sterminato amore che 'l mio dolce marito mi porta m'è di questo cagione, ché donna non è in queste parti che abbia migliore marito di me; e per lo grande amore che m'avea in su lo stremo di morire
s'è più volte condutto. E volendo bene essere intesa, m'è necessario dire parole non oneste né confacenti alla mia lingua, e massime verso la vostra magnifica signoria, le quali senza vostra licenzia non ardirei dire. Il signore, concessole che dica; ella con più onesto parlare che poté li disse per ordine, come per usare Ruberto con lei n'era più volte ammalato, e come il maestro Lamberto infine vidde chiaramente il cervello distillansi in orina, e che bisognava, o che si morisse o ch'egli impazzasse, o veramente stesse uno anno intero che non dormisse con meco. A questo io fui contenta, non che uno anno, ma sempre, pur che lui viva e stia sano e lui non voleva, e fuvvi gran fatiga accordarcelo; ma infine pure come savio vi s accordò. E così più mesi durò, che mai non ebbe un mal di capo. E dappoi come piacque alla signoria vostra mandarlo di fuore, ove dieci dì stette, mi disse nell'andare e comandommi che per infino che non tornasse voleva ch'io dormissi nella camera sua che v'era più fresco: e così facendo, mi trovai una notte dormendo dallato Gentile, il quale non cognoscendo, volsi gridare e non potei, perché di paura m'erano le forze e gli spiriti mancati; e alla gole le mani portegli per istrozzarlo, non potei; e poi riavuta alquanto, seppi chi era; e lui non meno di me tremante trovai. E infine per ordine tutto 'l fatto mi disse, e come non sapendo che Ruberto fusse andato di fuore, vedendo che 'l testo in su la finestra non era, con Ruberto e non con meco veniva a dormire. E confessommi come Ruberto era innamorato di lui, e fatto di nuovo le chiavi di casa per potervi di notte intrare a sua posta. Io che conobbi la sua innocenzia col puro parlare e continuamente vergognoso e tremante che appena mi poteva perdonanza di tale venuta addomandare, considerai che Ruberto, per lo grande amore mi portava, di me compassione li pigliasse di stare un anno a quel modo, temendo che a me non fusse nocivo; e però credendo compiacermi trovò Gentile, che più bello né più dolce giovane di lui non poteva trovare, e però subito stimai che Ruberto volesse a uno tratto me e lui compiacere; e vengognandosi richiedere lui che dormisse con meco e me che dormissi con lui, a questo modo lui e me ingannati con suo ingegno insieme nel letto condusse, mettendo per mezzano quel testo del basilico. E ben cognobbe come savio il partito, ché conduttici insieme in uno letto lui e me soli a quel modo, nissuna onestà né di lui né di me aria potuto avere forza contro la gioventudine nostra. E ognuno pensi per sé chi atto fusse a resistere a sì dure battaglie? Adunque essendoci forza, né a lui ma a me non si debbe imputare. Il savio e discreto signore disse: Se così è, né Gentile né lei non meritano essere di niente ripresi; e per volere il certo sapere, esaminò anco Gentile. Il quale, perché s'erano composti insieme, sì come Tarsia, disse di ponto anco lui. Poi mandò per Ruberto, e uno terribile viso gli fece, e da lui volse la verità sapere: il quale veduto turbato il signore, bisognò che di ponto la verità li dicesse; e prima dell'amore che portava a Gentile, e la scusa trovò, per non dormire con la moglie, del finto male; e come con maestro Lamberto s'intese; e che li donò vinticinque ducati d'oro perché ingannasse la moglie; e simile del segno del testo del basilico, con ogni circostanzia che occorse nella faccenda. Di che il signore, avendo inteso da ogni parte la cosa, subito per maestro Lamberto mandò. Il quale avuto in camera da sé a lui, ghignando disse: Io vuò sapere da voi il bello inganno che voi e Ruberto avete fatto alla donna per vedere se vero è ciò che Ruberto m'ha detto, che è cosa da ridere: e se vi riscontate con lui i' voglio che noi n'abbiamo uno poco di piacere. Maestro Lamberto non seppe contraddire niente, e tutta la novella per ordine li contò. Di che saputo il signore la verità d'ogni cosa, tutti quattro in sala li fece venire; e in presenzia de' detti recatosi a sedere in sedia, dé questa sentenza: e prima per falsatore d'arte di medicina e per simonia de' vinticinque ducati d'oro che maestro Lamberto avea ingiustamente
ricevuti, lo fece ardere di tratto; poi voltosi a Ruberto disse: Và, che 'l dormire con Tarsia non t'è sano, ti comando che con lei mai più non dorma; e veduto che al tuo difetto Gentile è ottimo medico, voglio che delle due notti l'una dorma con teco; e tu, Tarsia, che in gran difetto per dormire sola eri per venire, se l'aiuto di Gentile non t'avesse soccorsa, voglio che rimanghi contenta, che come lui il tuo marito sì diligentemente governa, similemente te come lui a medicarti provvegga: cioè che l'una notte con Ruberto lui dorma e l'altra con teco. E tu, Gentile, voglio che per contento di ciascuna delle parti rimanghi contento. E se quello ch'io ho detto fare voi volete, sempre starete nella mia grazia; e chi questo non volesse accettare, né rimanesse ben contento, ora senza dimorare a maestro Lamberto farà compagnia. Di che essendo il partito a tutti piacevole, infine rimasero tutti contenti; e così nelle mani del signore sacramentaro di fare; e così secreto si tenne per ciascuno. E circa a sei mesi in questa forma dimorano, che Gentile dormia d'accordo di ciascuna delle parti l'una notte con Ruberto e l'altra con Tarsia, Intanto accadde che Tarsia si riscappò in uno bello fanciullo maschio, e 'l signore Berardo per sua benignità lo battezzò, a cui pose nome Benvenuto, e per figliuolo di Ruberto si tenea. E di pochi dì nato costui, accadde che Ruberto ammalò che pochi dì visse che si morì; e nel fare suo testamento, trovandovisi il signore per sua cortesia, Ruberto non credendo morire così presto, a senno del suo signore Berardo, compose e lasso la sua dolce donna ereda di ciò che si trovava di suo, con questo che pigli per marito Gentile a cui dé per dota ogni cosa; e se così non facesse, non le lasciava niente, e che esso la 'nguadi prima che muoia, e vuole vederla inguadiare; e che per lui nissun corrotto voleva che si facesse. E in cambio di pianti voglio che si rida e canti e balli; e voglio che ci sieno tutti gli stromenti di questa città, e che di scarlatto e non di bruno Tarsia si vesta; e a uno tratto, quando per andarmi a seppellire sarò tratto di casa, voglio che dall'altro uscio ornatamente esca Tarsia, che ne vada a marito; e la metà degli instrumenti accompagnino il corpo alla fossa e l'altra metà lei alle nozze. E 'l mio Benvenuto lasso al mio signore Benando che ne disponga e facci la sua voluntade. E se 'l mio testamento in tutte le parti non è appieno adempito, voglio che del Vescovado sia ogni cosa. E così rogatone ser Santi, si conchiuse; e il signor Berardo e Gentile e la Tarsia commendaro e accettario. E così Ruberto ratificato, Gentile nelle mani di Ruberto Tansia inguadiò con patto che se lui campasse non fusse fatto nulla. Ma come a Dio piacque al terzo dì si morì. Ove per lo ereditaggio non perdere, nissuno pianto si fece, e di scarlatto Tansia vestita, dato l'ordine a ciò che bisognava di fare, in su la terza dall'un uscio il corpo co' frati e con la metà delli stromenti sonando, e dall'altro canto Tarsia uscì con gli altri stromenti dall'altro uscio e con gran festa n'andò a marito. La quale con Gentile sempre fece buon tempo. E finite le nozze il signore Berardo fece uno onorato convito a Gentile ed a Tarsia con grande ed onorata compagnia di uomini e donne; ove, finito il desinare, fece in sala venire il fanciullo Benvenuto in collo alla balia, e così disse il signore: Questo fanciullo da Ruberto mi fu donato perché io ne facessi la mia voluntà, e per fare il dovere io lo dono a Tarsia sua propria madre e simile a Gentile suo marito, con questo che come di prima figliuolo di Ruberto s'appellava, così ora, poiché Ruberto di questa vita è passato, voglio che per figliuolo di Gentile s'appelli. E così con gran festa Gentile e Tarsia nelle loro braccia lo ricevettero e dolcemente per figliuolo l'accettano, e promisero e giuraro come figliuolo proprio trattarlo. E oltre a questo il signore Berardo uno bello gioiello al fanciullo donò, e tutta la roba che di maestro Lamberto si trovò, la quale a sé e a sua corte aveva confiscata, a quello fanciullo attribuì: in forma che mentre che la vita l
oro durò sempre Gentile, Tarsia e Benvenuto fecero buon tempo.
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