NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Se Maometto il mosto vieta e biasima,
     Credo che sia il sogno o la fantasima,

     Ed Apollin debbe essere il farnetico,
     E Trivigante forse la tragenda.
     La fede è fatta, come fa il solletico:
     Per discrezion mi credo che tu intenda:
     Or tu potresti dir ch'io fussi eretico:
     Acciò che invan parola non ci spenda,
     Vedrai che la mia schiatta non traligna,
     E ch'io non son terren da porvi vigna.

     Questa fede è come l'uom se l'arreca.
     Vuoi tu veder che fede sia la mia?
     Che nato son d'una monaca greca,
     E d'un papasso in Bursia là in Turchia;
     E nel principio sonar la ribeca
     Mi dilettai, perch'avea fantasia
     Cantar di Troia e d'Ettorre e d'Achille,
     Non una volta già, ma mille e mille.

     Poi che m'increbbe il sonar la chitarra,
     Io cominciai a portar l'arco e 'l turcasso:
     Un dì ch'io fe' nella moschea poi sciarra,

     E ch'io uccisi il mio vecchio papasso,
     Mi posi allato questa scimitarra,
     E cominciai pel mondo a 'ndar a spasso;
     E per compagni ne menai con meco
     Tutti i peccati o di Turco o di Greco,

     Anzi quanti ne son giù nello inferno.
     Io n'ho settanta e sette de' mortali,
     Che non mi lascian mai la state o 'l verno;
     Pensa quanti io n'ho poi de' veniali!
     Non credo, se durassi il mondo eterno,
     Si potessi commetter tanti mali
     Quanti ho commessi io solo alla mia vita:
     Ed ho per alfabeto ogni partita.

     Non ti rincresca l'ascoltarmi un poco,
     Tu udirai per ordine la trama:
     Mentre ch'io ho danar, s'io sono a gioco,
     Rispondo come amico a chiunque chiama;
     E giuoco d'ogni tempo e in ogni loco,
     Tanto che al tutto la roba e la fama
     Io m'ho giucato e' pel già della barba.


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