NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     La gola e 'l culo e 'l dado, ch'io t'ho detto;
     Odi la quarta, ch'è la principale,
     Acciò che ben si sgoccioli il barletto:
     Non vi bisogna uncin, ne porre scale,
     Dove con mano aggiungo, ti prometto;
     E mitere da papi ho già portate,
     Col segno in testa, e drieto le granate.

     E trapani e paletti e lime sorde,
     E succhi d'ogni fatta e grimaldelli,
     E scale, o vuoi di legno o vuoi di corde,
     E levane e calcetti di feltrelli
     Che fanno, quand'io vo', ch'ognuno assorde,
     Lavoro di mia man puliti e belli:
     E fuoco che per sé lume non rende;
     Ma con lo sputo a mia posta s'accende.

     S'tu mi vedessi in una chiesa solo,
     Io son più vago di spogliar gli altari,
     Che 'l messo di contado del paiolo.
     Poi corro alla cassetta de' danari;
     Ma sempre in sagrestia fo il primo volo,
     E se v'è croce o calici, io gli ho cari,

     E' crucifissi scuopro tutti quanti,
     Poi vo' spogliando le Nunziate e' santi.

     Io ho scopato già forse un pollaio:
     S'tu mi vedessi stendere un bucato,
     Diresti che non è donna o massaio
     Che l'abbi così presto rassettato:
     S'io dovessi spiccar Morgante, il maio,
     Io rubo sempre, dove io sono usato;
     Ch'io non istò a guardar più tuo che mio,
     Perch'ogni cosa al principio è di Dio.

     Ma innanzi ch'io rubassi di nascoso,
     Io fui prima alle strade malandrino:
     Avrei spogliato un santo il più famoso,
     Se santi son nel ciel, per un quattrino;
     Ma per istarmi in pace e in più riposo,
     Non volli poi più essere assassino;
     Non che la voglia non vi fussi pronta,
     Ma perché il frutto spesso vi si sconta.

     Le virtù teologiche ci resta:
     S'io so falsare un libro, Iddio tel dica;


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