NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Non fabricata mai per arte umana.

     Questa fontana tutta è lavorata
     De un alabastro candido e polito,
     E d'òr si riccamente era adornata,
     Che rendea lume nel prato fiorito.
     Merlin fu quel che l'ebbe edificata,
     Perché Tristano, il cavalliero ardito,
     Bevendo a quella lasci la regina,
     Che fu cagione al fin di sua ruina.

     Tristano isventurato, per sciagura
     A quella fonte mai non è arivato,
     Benché più volte andasse alla ventura,
     E quel paese tutto abbia cercato.
     Questa fontana avea cotal natura,
     Che ciascun cavalliero inamorato,
     Bevendo a quella, amor da sé cacciava,
     Avendo in odio quella che egli amava.

     Era il sole alto e il giorno molto caldo,
     Quando fu giunto alla fiorita riva
     Pien di sudore il principe Ranaldo;
     Et invitato da quell'acqua viva
     Del suo Baiardo dismonta di saldo,

     E de sete e de amor tutto se priva;
     Perché, bevendo quel freddo liquore,
     Cangiosse tutto l'amoroso core.

     E seco stesso pensa la viltade
     Che sia a seguire una cosa si vana;
     Né aprezia tanto più quella beltade,
     Ch'egli estimava prima più che umana,
     Anci del tutto del pensier li cade;
     Tanto è la forza de quella acqua strana!
     E tanto nel voler se tramutava,
     Che già del tutto Angelica odiava.

     Fuor della selva con la mente altiera
     Ritorna quel guerrer senza paura.
     Così pensoso, gionse a una riviera
     De un'acqua viva, cristallina e pura.
     Tutti li fior che mostra primavera,
     Avea quivi depinto la natura;
     E faceano ombra sopra a quella riva
     Un faggio, un pino et una verde oliva.

     Questa era la rivera dello Amore.
     Già non avea Merlin questa incantata;
     Ma per la sua natura quel liquore


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