NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Non son Macario, o Gaino il traditore;
     Anci odio tutti questi per tuo amore.

     Io te amo più che la mia vita assai,
     E tu me fuggi tanto disdignoso?
     Vòltati almanco, e guarda quel che fai,
     Se 'l viso miti te dié far pauroso,
     Ché con tanta ruina te ne vai
     Per questo luogo oscuro e periglioso.
     Deh tempra il strabuccato tuo fuggire!
     Contenta son più tarda a te seguire.

     Che se per mia cagion qualche sciagura
     Te intravenisse, o pur al tuo destriero,
     Seria mia vita sempre acerba e dura,
     Se sempre viver mi fosse mistiero.
     Deh volta un poco indrieto, e poni cura
     Da cui tu fuggi, o franco cavalliero!
     Non merta la mia etade esser fuggita,
     Anci, quando io fuggessi, esser seguita. -

     Queste e molte altre più dolci parole
     La damigella va gettando invano.
     Bagliardo fuor del bosco par che vole,

     Et escegli de vista per quel piano.
     Or chi saprà mai dir come si dole
     La meschinella e batte mano a mano?
     Dirottamente piange, e con mal fiele
     Chiama le stelle, il sole e il cel crudele.

     Ma chiama più Ranaldo crudel molto,
     Parlando in voce colma di pietate.
     - Chi avria creduto mai che quel bel volto, -
     Dicea lei - fosse senza umanitate?
     Già non me ha il cor amor fatto si stolto
     Ch'io non cognosca che mia qualitate
     Non se convene a Ranaldo pregiato;
     Pur non diè sdegnar lui de essere amato.

     Or non doveva almanco comportare
     Ch'io il potessi vedere in viso un poco,
     Che forse alquanto potea mitigare,
     A lui mirando, lo amoroso foco?
     Ben vedo che a ragion nol debbo amare;
     Ma dove è amor, ragion non trova loco,
     Perché crudel, villano e duro il chiamo;


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