NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Che 'l re, il fratello e tutta la famiglia
     Di tal mutazion si maraviglia.

     Se da Giocondo il re bramava udire
     Onde venisse il subito conforto,
     Non men Giocondo io bramava dire,
     E fare il re di tanta ingiuria accorto.
     Ma non vorria che più di sé, punire
     Volesse il re la moglie di quel torto;
     Si che per dirlo, e non far danno a lei,
     Il re fece giurar su l'agnusdei.

     Giurar lo fe', che né per cosa detta,
     Né che gli sia mostrata che gli spiaccia,
     Ancorch'egli conosca che direttamente
     A sua Maestà danno si faccia,
     Tardi o per tempo mai farà vendetta;
     E di più, vuol ancor che se ne faccia;
     Sì che né il malfattor giammai comprenda
     In fatto o in detto, che 'l re il caso intenda.

     Il re, ch'ogni altra cosa, se non questa,
     Creder potria, gli giurò largamente.
     Giocondo la cagion gli manifesta,

     Ond'era molti di stato dolente:
     Perché trovata avea la disonesta
     Sua moglie in braccio d'un suo vil sergente,
     E che tal pena alfin l'avrebbe morto,
     Se tardato a venir fosse il conforto.

     Ma in casa di sua Altezza avea veduto
     Cosa che molto gli scemava il duolo;
     Chè sebbene in obbrobrio era caduto,
     Era almen certo di non v'esser solo.
     Così dicendo, e al bucolin venuto,
     Gli dimostrò il bruttissimo omicciuolo,
     Che la giumenta altrui sotto si tiene,
     Tocca di sproni e fa giuocar di schene.

     Se parve al re vituperoso l'atto,
     Lo crederete ben, senza ch'io 'l giuri.
     Ne fu per arrabbiar, per venir matto;
     Ne fu per dar del capo in tutti i muri:
     Fu per gridar, fu per non stare al patto;
     Ma forza è che la bocca alfin si turi,
     E che l'ira trangugi amara ed acra,


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