NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     E di costumi ad ambi grata sia,
     Che lor comunemente soddisfaccia,
     E non abbia d'aver mai gelosia.
     E perché, dicea il re, vuo'che mi spiaccia
     Aver più te ch'un altro in compagnia?
     So ben ch'in tutto il gran femmineo stuolo
     Una non è che stia contenta a un solo.

     Una (senza sforzar nostro potere,
     Ma quando il natural bisogno inviti)
     In festa goderemoci e in piacere;
     Ché mai contese non avrem né liti.
     Né credo che si debba ella dolere;
     Chè s'anco ogni altra avesse duo mariti,
     Più ch'ad un solo, a duo saria fedele;
     Né forse s'udirian tante querele.

     Di quel che disse il re, molto contento
     Rimaner parve il giovine romano.
     Dunque fermati in tal proponimento,
     Cercar molte montagne e molto piano.
     Trovano alfin, secondo il loro intento,
     Una figliuola di uno ostiero ispano,

     Che tenea albergo al porto di Valenza,
     Bella di modi e bella di presenza.

     Era ancor sui fiorir di primavera
     Sua tenerella e quasi acerba etade.
     Di molti figli il padre aggravat'era,
     E nimico mortal di povertade:
     Si ch'a disporlo fu cosa leggiera,
     Che desse lor la figlia in potestade;
     Ch'ove piacesse lor potesson trarla,
     Poiché promesso avean di ben trattarla.

     Pigliano la fanciulla, e piacer n'hanno
     Or l'uno or l'altro, in caritade e in pace,
     Come a vicenda i mantici che dànno,
     Or l'uno or l'altro, fiato alla fornace.
     Per veder tutta Spagna indi ne vanno,
     E passar poi nel regno di Siface;
     E 'l dì che da Valenza si partiro,
     Ad albergare a Zattiva veniro.

     I patroni a veder strade e palazzi
     Ne vanno e lochi pubblici e divini;
     Ch'usanza han di pigliar simil sollazzi


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