NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     In ogni terra ov'entran peregrini;
     E la fanciulla resta coi ragazzi.
     Altri i letti, altri acconciano i ronzini;
     Altri hanno cura che sia alla tornata
     Dei signor lor la cena apparecchiata.

     Nell'albergo un garzon stava per fante,
     Ch'in casa debba giovane già stette
     A' servigi del padre, e d'essa amante
     Fu da' primi anni, e del suo amor godette.
     Ben s'adocchiar, ma non ne fér sembiante;
     Ch'esser notato ognun di lor temette:
     Ma tosto ch'i patroni e la famiglia
     Lor dieron luogo, alzar tra lor le ciglia.

     Il fante domandò dov'ella gisse,
     E qual dei duo signor l'avesse seco.
     A punto la Fiammetta il fatto disse
     (Così avea nome, e quel garzone il Greco).
     Quando sperai che 'l tempo, oimè! venisse
     (Il Greco le dicea) di viver teco,
     Fiammetta, anima mia, tu te ne vai,
     E non so più dir rivederti mai.


     Fannosi i dolci miei disegni amari,
     Poiché sei d'altri, e tanto mi ti scosti.
     Io disegnava, avendo alcun danari
     Con gran fatica e gran sudor riposti,
     Ch'avanzato m'avea de' miei salari
     E delle bene andate di molti osti,
     Di tornare a Valenza, e domandarti
     Al padre tuo per moglie, e di sposarti.

     La fanciulla negli omeri si stringe,
     E risponde che fu tardo a venire.
     Piange il Greco e sospira, e parte finge.
     Vuommi, dice, basciar così morire?
     Con le tue braccia i fianchi almen mi cinge;
     Lasciami disfogar tanto desire:
     Ch'innanzi che tu parta, ogni momento
     Che teco io stia, mi fa morir contento.

     La pietosa fanciulla rispondendo:
     Credi, dicea, che men di te nol bramo;
     Ma né luogo né tempo ci comprendo
     Qui, dove in mezzo di tanti occhi siamo.


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