NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Tanto era bello, onesto e costumato.
     La principessa intese il convenente,
     Di grazia al Signor lei ha dimandato
     Che gli conceda quel nobil scudieri:
     E il padre gliel diè ben volontieni.

     Il giovinetto intese tal novella:
     Non ebbe al mondo mai tale allegrezza,
     Bisognando servir alla donzella
     Quella che era il fior d'ogni adornezza.
     Con sua madre mangiava Giulia bella,
     Fontana di beltade e gentilezza.
     Ottinello servendo la mirava,
     Poi si volgeva e gran sospir gettava,

     Fra sé dicendo: Come la natura
     Ha possuto formar sì nobil giglio?
     Quell'occhio di falcon fuor di misura,
     Tanto adornato sotto il negro ciglio?
     Mai dipintore non fe' tal figura:
     Tutti li dèi ci furono a consiglio
     Per far un corpo che giammai nel mondo
     Simil non si trovasse a tondo a tondo.

     Così ringraziava il giovinetto

     Le dea Venus che si era dignata
     Donargli grazia che innanzi al cospetto
     Posseva star della sua innamorata,
     Senza che mai nessun fosse sospetto:
     Et ognora da lui era mirata,
     Pur dubitando il giovane cortese
     Non far ad altri il suo amor palese.

     Fortuna mosse un dì sua nota in fretta:
     L'antica madre cadde in malattia:
     Sola rimase quella giovinetta,
     E di sua madre avìa malinconia.
     A tavola mangiava lei soletta,
     Et Ottinello solo la servia:
     Con guardi onesti forte sospirava,
     Ma pur di dir niente non osava.

     La giovinetta gli ebbe dimandato:
     Che hai, scudier, che sì forte sospire?
     Credo che tu sei tanto innamorato
     Ch'Amor t'abbia condotto in gran martire.
     T'ha forse lo tuo amore abbandonato?
     Dimmi la verità, non mi mentire.
     Il giovanetto smorto venne in viso,


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