NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Rimase quasi com' da sé diviso.

     Ma, quando il spirto in sé ebbe sentuto,
     Rispose a quell'ornato e fresco giglio:
     Gentil signora, per ciò sono venuto
     Per rimirar il tuo viso vermiglio.
     Nessun non credo m'abbia cognosciuto;
     Sappiate che del principe son figlio
     Di Salerno: mio padre è Ottaviano:
     Condutto sono nelle vostre mano.

     Inginocchiossi innanti alla donzella;
     Di punto in punto ogni cosa narròe,
     Sì come lo scudier con sua favella
     Fu la cagion che lui s'innamoròe
     Di lei, ornata, pellegrina e bella:
     Sentendola nomar, così contòe,
     Da un suo scudier che si era fuggito,
     Che lungo tempo a lei avea servito.

     La giovinetta lo guardava in viso,
     Vedealo sì onesto e grazioso:
     Impallidito il fior del paradiso
     Lo prese per la man, levollo soso.
     Con uno sguardo e con un dolce riso

     Disse: Vo' che tu sie il mio amoroso:
     Ma prima che di qui noi ci partiamo,
     Vo' che l'un l'altro la fede ci diamo.

     Così la fé l'un l'altro s'ebbon dato
     Di non tòr altra moglie né marito,
     Et in fra loro ebbon deliberato
     Pigliar conclusion d'altro partito:
     Partirsi ciaschedun cheto e celato,
     Tanto che da nessun non sian sentito;
     Et ebbiono ordinato al lor cammino
     Partirsi innanti il suon di mattutino.

     Giulia bella all'ora deputata
     Andò alla cassa ov'era un gran tesoro;
     Di gioie e perle fe' gran ragunata:
     Quaranta mila e più talenti d'oro!
     Andò alla posta dove era aspettata,
     Come ordinato aveano in fra di loro.
     E camminoron per boschi e diserti
     Li doi amanti singolari e spenti.

     Venuto il giorno chiaro e rilucente,
     La principessa già tutta smarrita
     Giulia fe' chiamar per un servente:


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