NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


Pagina 721
1-40- 80-120- 160-200- 240-280- 320-360- 400-440- 480-520- 560-600- 640-680- 720-745

[Indice]

     (Da Le Cene, Cena seconda, novella IV)



     IL RUBINO DI GUASPARRI DEL CALANDRA
     Lo Scheggia et il Pilucca con due loro compagni fanno una beffa a Guasparri del Calandra, onde egli fu per spiritare: poi con bellissimo modo gli cavano un rubino di mano, il quale da lui ricomperato, si sguazzano i denari.

     I
     N Finenze fu già un buon uomo chiamato Guasparri del Calandra, che faceva il battiloro, assai buon maestro di quell'arte, ma persona per altro bonaria e di grosso ingegno. Costui, per via della moglie sendo diventato ricco, perciocché ella era rimasta erede del suo fratello, che le aveva lasciato due buoni poderi in quel di Prato e due case in Firenze, abbandonata la bottega, attendeva a darsi piacere e buon tempo, non avendo se non un figliuolo maschio di cinque in sei anni, e la donna in termine di non doverne far più. Per la qual cosa preso aveva strettissima amicizia dello Scheggia, e conseguentemente del Pilucca, del Monaco e di Zoroastro; e piacendoli la lor conversazione, perciocché, come voi sapete, erano uomini spensierati e di lieta vita, si trovava spesso con esso loro a cena nella stanza del Pilucca, che stava a casa in Via della Scala, dove era un bellissimo orto, da mangiarvi la sera d'estate sotto una verdissima e folta pergola al fresco. E perché questo Guasparri faceva professione d'intendersi dei vini e di provvederli buoni, coloro, in questo dandoli la soia e lodandolo molto, l'avevano eletto sopra ciò di comune consentimento. La qual cosa Guasparri recandosi a grand'onone, per non mostrarsi ingrato di tanto benefizio e di sì gran maggioranza, tutto il vino che si beveva fra loro e da lui provveduto voleva che fusse di sovvallo et a sue spese, e ad ogn'ora visitava tutte le taverne di Firenze per trovarlo buono; e per sodisfare ai compagni, sempre ne conduceva di due o tre sorti. L'altre vivande poi tutte andavano per rata: lo Scheggia era il provveditore, e teneva diligente conto, e quei compagnoni attendevano a succiare, che parevano moscioni, mettendo Guasparri in cielo; e Zoroastro diceva pure che non conobbe mai uomo avere il miglior gusto, et il Pilucca affermava esser lui disceso dalla schiatta di Bacco, tantoché il detto Guasparri si stimava d'esser gran cosa. E così dopo cena sempre cicalando, avevano i più nuovi e strani ragionamenti di questo mondo, dove consumavano mezza la notte, favellando spesso delle streghe e degl'incanti, delli spirti e dei morti. Delle quali cose Guasparri avendo paura grandissima, mostrava non curane, e si faceva ardito e gagliardo, dicendo fra l'altre cose, che in quell'altro mondo i morti avevano fatica di vivere, non che di venire a far paura o male alcuno a questi di qua: della qual cosa sendosi coloro avveduti, ne avevano trastullo e piacere grandissimo.


[Pagina Precedente] - [Indice] - [Pagina Successiva]