Tutto ciò fu confermato da lettere regie: tanto l’autorità sovrana era divenuta nulla.
Ma appunto per questo la tranquillità non potea esser durevole. La pace era stata conchiusa nel novembre del 1350, e nel marzo dello stesso anno don Artale Alagona, figliuolo del gran giustiziere, prese e saccheggiò Alicata, ove trovò riposte oltre a tremila salme di frumento di Federigo Chiaramonte, che ritenne in suo potere; e volendolo trasportare in Catania, che ne abbisognava, scrisse al padre di mandare quante barche potea a levarlo. Il tragitto era mal sicuro dalla terra, come dal mare. Il gran giustiziere scrisse a Manfredi Chiaramonte, che capitano era di Lentini e di Siracusa, chiedendogli se, attesa la pace che fra loro era, potea con sicurezza far venire certo frumento da Alicata; quello gli rispose del sì. Onde mandate molte barche in Alicata, ne levarono il frumento; e nel ritorno con tutta sicurezza, fidando dell’assicurazione del Chiaramonte, entrarono nel porto di Siracusa; i marinari scesero a terra: ma tosto si videro arrestati e carcerati; pochi ne fuggirono in Catania; il frumento fu preso. Il conte Alagona saputo il fatto, spedì due messi in Lentini al Chiaramonte, per dolersi del tradimento: ma quello rispose che dopo aver fatta egli la lettera di sicurezza, il re avea mandato ordine d’intraprender quelle barche, se accadea che passassero da Siracusa; nè potea il conte dolersi del re dopo avere presa e saccheggiata in piena pace una città del regio demanio.
V. - Rotta così la pace, ricominciarono le ostilità da per tutto, e si ritornò in sul depredare i bestiami, sperperar le campagne e far simili danni tra città vicine.
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