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      Fu chiamato pertanto il conte Pertusati, uno de' cavalieri ispettori del palco, il quale si maravigliò che il governatore dubitasse della sua asserzione; e furono fatti venire testimonj più di parecchi: tutti si misero la mano al petto, protestando di aver la vista perfetta e la testa sulle spalle. Governatore, presidente, giudice almanaccarono a lungo. Che è? Che non è? Cosa può essere stato? Pensa, ripensa e torna a pensare... Ma, quasi contemporaneamente, nella testa del presidente del Senato e del giudice del Pretorio sorse quel sospetto, che poteva spuntare anche più presto, perchè l'uso delle maschere-ritratti non era che del carnevale passato, e l'ordinanza non gli era posteriore che di nove mesi. Appena messo fuori quel sospetto, fece tosto presa nella testa del governatore conte Pallavicini, il quale fattolo diventar certezza, sentì il diritto di salire in furore, e d'ordinare al signor giudice che praticasse tosto e in tutti i modi possibili le più rigorose indagini per scoprire i contravventori dell'ordinanza.
      Quando il giudice uscì dal teatro, la primissima luce bigia dell'alba si confondeva già colle torcie dei lacchè che attendevano, presso le carrozze, i loro padroni. In una parte era uno schiamazzo assordante di evviva; in un'altra, vicino a una carrozza, ferveva un alterco vivacissimo tra due gentiluomini su cui si projettava la luce delle torcie dei lacchè.
      Il giudice domandò che significasse quel rumore da un lato e quel contrasto dall'altro, e gli fu risposto come alcuni giovinotti accompagnavano a casa, colle torcie a vento, la Gaudenzi in trionfo; e che l'alterco era tra il conte V... e suo cognato, perchè non s'era più trovata in nessun luogo del teatro, nè in palchetto nè altrove, la contessa sua moglie, e, mandato il lacchè a vedere al palazzo, nessuno l'aveva vista ritornare.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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