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      Nel dopopranzo del 24 settembre, giorno di domenica, era, come di consueto, affollatissimo lungo il corso di porta Romana il passaggio dei pedoni, prolungato e lento e ad ogni istante interrotto il procedere delle carrozze, dei pesanti e maestosi landò, dei bombé non ancora scomparsi, dei birbini, dei cabriolets; piena la corsia interposta tra le due file di eleganti cavalieri, che si fermavano al fermarsi de' cocchi, a' cui sportelli apparivano tutte le foggie dei cappelli femminini che in quei giorni erano stati incisi e dipinti sul Corriere delle Dame, redatto allora da Angelo Lambertini; cappelli di crepon, di raso, di treccie di cotone, di paglia di Firenze con penne di struzzo, con marabouts, con piume scozzesi, ecc., ecc. Presso all'osteria del Monte Tabor era un ingombro inestricabile di cocchi, di cavalli tenuti a mano dai palafrenieri, dalla più minuta gente del popolo, la quale, mancante degli indispensabili cinquanta centesimi per entrare, si accontentava di vedere lo spettacolo esterno e di sentire la musica delle due bande militari, che, collocate alle parti estreme dell'osteria, si alternavano nell'eseguire i pezzi delle opere teatrali allora più in voga. In quel dopopranzo, il concorso alla slitta era forse maggiore del solito, perchè si sapeva che, per la prima volta, vi dovevano intervenire il vicerè e la viceregina, i quali tenevano dall'imperiale parente il mandato di aspirare alla popolarità, mescolandosi ai cittadini e al popolo.
      L'interno dell'osteria, dai bassi piani, dalle falde sino all'ultima vetta del Tabor, era un vero alveare rumoroso e gozzovigliante, percorso e ripercorso senza posa da camerieri trafelati.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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