Non eranvi quasi meno malcontenti a Firenze che a Pisa; ma per diversa cagione. I Pisani accusavano l'imprevidenza del loro governo, ed i Fiorentini erano forzati di riconoscere la prudenza del proprio, nello stesso tempo che si lagnavano che fosse diventato la proprietà d'una sola classe di cittadini. Le leggi, ch'erano state fatte per rendere le magistrature a tutti accessibili, avevano tutte prodotto un contrario effetto. Il divieto allontanava dagl'impieghi le famiglie più illustri, e l'ammonizione era un'arma in mano alla regnante oligarchia per escludere tutti quelli che loro facevano ombra. In forza dell'ultimo statuto la magistratura di parte guelfa ammoniva coloro, che voleva escludere dagl'impieghi, di averli sospetti di ghibellinismo, e li veniva in tal modo a privare de' loro onorifici diritti. L'incostituzionale oligarchia che così conservava in cotal modo il suo potere non era formata di nobili famiglie, o di antiche, che governassero per una specie di prescrizione, nè di cittadini volontariamente eletti dalla nazione; ma era un'ambiziosa associazione, una fazione, che coll'ajuto di leggi tutte democratiche, aveva ottenuto d'entrare tutta intera nel governo e di potervisi mantenere. Ma questa fazione aveva manifestato nell'amministrazione della repubblica molti talenti, coraggio e virtù. Senza muovere guerra ai Pisani, gli aveva fatti pentire della loro mancanza di fede; aveva fatto rispettare in mare la bandiera d'una potenza, che in verun punto toccava il mare; aveva dato l'esempio a tutti i sovrani d'Europa di rispingere le grandi compagnie colle armi, invece di pagar loro vergognose taglie; aveva finalmente osservati con fedeltà i suoi trattati coi Visconti, sebbene potesse riuscire vantaggioso alla repubblica il romperli, quando il legato della Chiesa le chiedeva che il facesse.
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