La dimane si levò per tempo a salmodiare. Fu una salmodia frettolosa, forse troppo frettolosa, non ostante la brevis oratio! Finite le preci, il guardiano si diresse un'altra volta alla cucina, per ordinare il caffè a caldaie. Avea stabilito in cuor suo di colmare di gentilezze il Generale, per ottenere il suo intento.
E questi non seppe rifiutargli il permesso di partire, ché vedeva il frate molto preoccupato. Armatosi quindi il reverendo del bastone e della sporta, esce dal convento poco dopo il levar del sole. Guarda con occhio compassionevole due o tre volte la pia casa, mentre si allontana, e raccomanda a Dio le sue pecorelle. Ma giunto ad una prima sentinella, a meno di un chilometro di strada, gli è inibito di passare. Né vale al frate mostrare il salvacondotto, che gli è stato rilasciato dal Generale.
Quella scolta è un milite della guardia mobile di Ascoli, sottoposto agli ordini del maggiore Rosa, che vi stanzia coll'intero battaglione, mentre più in là trovasi accampato un battaglione di Sanniti, il cui comandante in capo è un maggiore garibaldino. La sentinella non lascia passare alcuno, poiché ha ricevuta questa consegna.
Come fare intanto? S'è di già formato un capannello di soldati intorno al povero frate, e gliene dicono di tutti i colori. Per fortuna giunge in buon punto il capitano Oberti, che si trova a passar di là, e può ottenere si lasci libera la via al vecchio servo di Dio, il quale si segna tre volte la fronte, appena varcata la cinta. E mentre valica i varii colli, che intercedono tra Civitella e Teramo, si volge anche una volta indietro per dare un ultimo addio al suo dolce nido. Ma ode un colpo di cannone, il segnale delle ostilità che incominciano, e due lucciconi gli scendono per le rugose guance.
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