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Quel giorno, 5 novembre, passò senza fatti rilevanti, ed i cannoni da campagna, postati nelle vicinanze del convento, risposero di rado ai spari di cannone, che partivano dalla fortezza, i cui proiettili colpivano di preferenza il monistero in punizione forse di aver ricettato i piemontesi.
I frati perciò se ne andarono tutti, meno due, che rimasero a tutela del santuario.
Intanto si era fatta notte, ed il capitano usciva ad ispezionare le sentinelle. La luna argentea e piena splendeva per lo stellato firmamento tinto di cupo azzurro e limpidissimo.
Le scolte erano tutte al loro posto, ma avevano riferito, che una giovane si aggirava nei dintorni della cinta, sempre però fuori tiro di moschetto. Avevano gridato il chi va là, ma non avevano avuta risposta, che all'intimazione essa erasi dileguata come un fantasma. Il capitano capì. Si chiuse tutto nel tabarro, per non esser visto, e diede la consegna che caso mai la rivedessero, non le facessero alcun danno, le usassero anzi tutti i riguardi.
Ma chi era la misteriosa donna? Una bionda fanciulla di quei siti, dagli occhi neri e provocanti, le ciglia arcate e folte, la diletta forse di qualcuno del presidio, che veniva alla posta amorosa.
Siccome a quei tempi i soldati perlustravano il campo con a capo un ufficiale o sott'uffiziale, accadeva talora che essi si soffermassero in qualche cascina, vuoi per riposarsi, vuoi per rifocillarsi in un modo qualunque. In una di quelle masserie si trovava Evangelina, che un dì accolse con ogni amorevolezza il melanconico sergente dei bersaglieri, di cui sopra parlammo, e che in quel giorno comandava la squadra di ronda. Il sergente, fuor del suo costume, s'era intrattenuto lunga pezza presso la giovane, mentre la sua squadra faceva bivacco sulla prateria verde, dove pascolavano le vacche e ruzzavano i vitelli. Lui, rigido, che non avrebbe ricambiate più di due parole, con chi avesse tentato appiccar seco conversazione, quella volta s'era lasciato ammaliare.
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