In seguito venne istituito un tribunale regolare di guerra, nel quale fungeva da avvocato fiscale l'avv. Tito de Sanctis, e vi furono altri condannati. Tra gli altri, il capitano d'artiglieria Martino, condannato a 20 anni di carcere.
Tutti gli altri soldati borbonici, compreso il maggiore Ascione, furono mandati in Ascoli, e di là in Ancona, dove ad ognuno fu data libera scelta o di seguitare a servire o di congedarsi. E molti infatti preferirono continuare: gli altri si licenziarono.
Nel forte furono trovati due mortai di bronzo, 18 pezzi in ferro da 12 e 18, molti altri pezzi, non montati, nel sito così detto cavaliere, e la colubrina, colla quale, è tradizione nel popolino, che si sparasse fin sul mare adriatico per tenere a bada i pirati, e che ora si conserva nel museo di Torino. A guardia del forte rimase un battaglione del 27 fanteria, un distaccamento del genio, ed un altro di artiglieria, finché esso non fu smantellato.
Ma le vendette non erano ancora terminate. Si andò in cerca di Padre Zilli, detto anche Campotosto, come quegli che avea fanatizzata la soldatesca, e brigato per cose politiche. Ma non lo si poteva ritrovare. Finalmente lo scovarono di dentro un forno, dove s'era rimpiattato per non esser visto.
Tratto di là, fu trascinato sul medesimo sito, dove erano stati fucilati Messinelli e Supinone, ed egli terzo vi cadde col petto sotto dalle palle.
Fu assistito in quei supremi momenti dal P. Guardiano, che conoscemmo in sul principio di questo racconto, il quale era tornato da Teramo nel suo convento, dopo sentita la caduta della fortezza, mai pensando, che avrebbe avuto ad incontrasi con un si brutto caso.
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