Giuseppe Savini
Ricordi della vita di Bernardo Savini


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     II

     Quando venne l'ora, e fu presto, di affidarlo ai maestri che dovevano istruirlo nelle umane lettere, egli, benché dotato di raro e facilissimo ingegno, non fu certo il primo fra i suoi condiscepoli; e forse, e senza forse, ad esser tale, gli si oppose, più che tutto, questo suo stesso raro e facilissimo ingegno, sebbene ciò paia a prima vista incredibile. Giacché in esso fidando, e di esso consapevole, e diciamolo pure, di esso abusando, egli trascurava lo studio, sapendo bene che alla mancanza di questo suppliva l'abbondanza dell'ingegno. Ed il suo ajo testificava, che apprendendo Bernardo prontissimamente, si riduceva quasi dentro la stessa scuola a studiare la lezione, e pur così facendo non isfigurava innanzi al maestro. Onde non ebbe mai castighi, che allora si usavano e duri e frequenti e qualche volta irragionevoli, per quanto a risparmiarglieli giovasse anche la sua infermità.
     Questo avveniva nello studio del latino e dell'italiano, o meglio dovrei dire, nello studio del solo latino, giacché in quei tempi tutto a questo solo studio si ristringeva l'insegnamento, credendosi, e fino ad un certo punto con ragione, che chi sapeva bene il latino, dovesse pure saper bene l'italiano. Questo criterio produsse però in tutti i discepoli, Bernardo compreso, come vedremo appresso, che per quanto gli scolari nello scrivere evitassero gli errori puramente grammaticali, non giungessero mai a formarsi uno stile, o se lo formassero duro e contorto sempre. In Bernardo produsse ancora lo spregio costante per chi studiasse la lingua fuori che nella grammatica, tenendo pei peggiori disutili i linguajoli, come egli li chiamò poi con frase tolta ad imprestito ad un regale ignorante. Bernardo, adunque, mercé questa sua felice disposizione d'ingegno, imparò bene il latino e scrisse senza errori l'italiano, non segnalandosi però oltre l'ordinario né nell'una né nell'altra disciplina.