Giuseppe Savini
Ricordi della vita di Bernardo Savini


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     Quando fummo in età di andare a scuola, egli ci fece da secondo maestro, e con quanto maggiore efficacia dei maestri veri! Voleva ogni mattina rivederci i lavori, ripeterci le lezioni; durante le vacanze egli ci faceva addirittura la scuola, pur non avendo l'aria di farcela. Ed in questa scuola letteraria e morale, egli usava una severità che contradiceva apertamente al suo naturale, mite e dolce, e pareva che fosse in contrasto coll'amore sviscerato che ci portava. Ed invece era appunto frutto di questo amore, il quale, come tutte lo passioni in Bernardo, era eminentemente ragionevole e sempre guidato dall'intelletto: capiva bene che nell'educazione è indispensabile la severità, e per quanto questa costasse al suo animo gentile, pure l'imponeva col suo raziocinio alla volontà, e la adoperava.
     E quindi oltre i rimproveri che ci faceva, le mortificazioni che ci dava, i divertimenti ed i cibi di che ci privava, qualche volta non si ristava dall'adoperare la sferza, ricordando a sé stesso, e ripetendo a noi quel passo dell'Ecclesiastico che dice: Qui diligit filium suum assiduat illi flagella (XXX, 1). Perciò noi, che poco ci curavano dei maestri, avevamo una gran paura della ripetizione dello zio, e se studiavamo era soltanto per evitare i costui rimproveri, e più ancora i suoi castighi. Onde io potrei ripetere con maggior ragione qui quel che di so Cicerone disse: Si quid est in me ingenii... quod sentio quam sit exiguum... rerum omnium vel in primis hic... fructum a me repetere prope suo juro debet (Pro A. L. Archia). Se io ho imparato qualcosa, e davvero che è stato poco, lo debbo in gran parte a questa scuola dello zio.