Questa severità, così ragionevole e così illuminata, questi castighi istessi maneschi, per quanto ci facessero affliggere ed anche piangere, non potevano mai urtarci ed offenderci. Con quel sicuro istinto che hanno i bambini, capivamo che se egli ci castigava e ci batteva, in tutto questo non c'era niente di odio, non ci entrava affatto sfogo di maltalento o di qualsivoglia altra meno nobile passione, ma era frutto di amore ben inteso. Perciò egli, per quanto temuto, rimase sempre il più amato di tutti i maggiori; e passata l'infanzia, divenne il nostro confidente, il nostro consigliere, il nostro intermediario, com'era stato pei suoi fratelli.
Oltredichè egli non ci era avaro di sue amabilità e di sue carezze, quando era passato il tempo della scuola, e quando noi le meritavamo. Ricordo, come fosse adesso, quando io bambino di cinque o sei anni mi levavo di letto assai per tempo, appunto per godere la compagnia dello zio, che a quell'ora stava solo, e com'egli spesso mi prendesse sulle sue ginocchia, compiacendosi di rispondere a tutte le mie domande, curiosissimo com'io ero di sapere le ragioni di tutto. E ricordo pure che spessissimo vinto dall'affetto mi domandava qual era la persona che più amassi, e rispondendogli che era lui, egli mi rimproverava dicendo che il primo ad amarsi doveva essere babbo; ma pure mi ripeteva quasi ogni mattina la stessa domanda, e certo doveva compiacersi della sempre eguale risposta, vedendo che nella mia anima innocente di bambino entrava la corrispondenza al suo grande affetto, giacché non v'era cuore che più del suo godesse dell'amore corrisposto, ripetendo ad ogni istante che egli viveva d'affetto, e non sapeva spiegarsi come si potesse vivere senz'affetto.
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