I continui progressi compiuti nello studio dell'archeologia
con il crescente interesse per la materia gli fece presto comprendere che il suo futuro non era nell'insegnamento: presto manifestò per il suo lavoro una certa mancanza di entusiasmo
dato che già nel 1867 (quando cioè aveva iniziato ad insegnare solo un paio di anni prima) scriveva alla Milli: «ho un vuoto dentro dell'anima fortissimo. [...] vedo sparirmi gli anni i più belli sacrificati ad insegnare sempre quelle stesse cose
che mi impediscono di andare avanti e di procurarmi un avvenire!». Anche finanziariamente la situazione non era affatto rosea
e spesso ammetteva candidamente di essere completamente sprovvisto di denaro (ricevendo talvolta in queste occasioni l'aiuto di Giannina Milli).
Sarebbe dovuto trascorrere ancora molto tempo (insegnò a Napoli una decina d'anni) prima che si concretizzasse l'importante svolta professionale che lo portò a Roma nel 1875
dove prese servizio come segretario di seconda classe nell'appena istituita Direzione generale dei musei e degli scavi di antichità (di cui era stato nominato direttore Giuseppe Fiorelli); nella capitale iniziò una brillante carriera che lo vide giungere nel 1897 ad assumere la direzione generale delle antichità e belle arti. L'attività fu ricca di produzioni scientifiche (circa 150 pubblicazioni)
delle quali sono da ricordarsi in particolare la redazione delle "Notizie degli scavi di antichità" (32) pubblicata dall'Accademia dei Lincei (di cui era socio)
la realizzazione del Museo di Villa Giulia e del Museo delle Terme di Diocleziano. Operò tra mille difficoltà
in un nuovo campo dell'amministrazione del giovane Regno d'Italia
in un periodo in cui l'attenzione delle più alte istituzioni nei confronti dei problemi legati alla tutela del patrimonio storico ed artistico era molto carente
tra confusione
accese rivalità
conflitti di competenze
scarsità di personale qualificato
in mancanza di una specifica legge di tutela
e con i pericoli legati agli interessi privati di natura economica esistenti nel campo artistico e dell'antiquariato
che minacciavano seriamente la salvaguardia del patrimonio (33). Tutte queste difficoltà e carenze misero persino in dubbio la sopravvivenza stessa della Direzione.
(32)
Sulle Notizie degli scavi di antichità i suoi contributi furono
pubblicati ininterrottamente per ben quarant'anni
dal 1882 fino alla
morte.
(33)
Nel corso della carriera ministeriale Barnabei si batté energicamente per
arginare gli interessi commerciali e gli scavi privati
che avevano nel
tempo di molto impoverito il patrimonio artistico italiano. Prestissimo si
mostrò sensibile a questo problema
dato che nel luglio del 1862
quando
cioè era da poco uscito dal liceo di Teramo
trovandosi a Parigi in viag
gio verso Londra per l'Esposizione Mondiale
dopo avere visitato il Museo
del Louvre
scriveva appena ventenne a Giannina Milli: «Luoghi immensi
ripieni tutti di robbe nostre! Povera Italia!... Raffaello
Michelangelo
Leonardo
B. Angelico
P. Veronese
e tutti i nostri grandi formano
la meraviglia del grande Museo d'Europa! E la Francia? La civilissima
Francia non ha potuto esporvi altro che il cappello di Napoleone
ed
il giubbino che portava a S. Elena
e la scarpa di M.a Antonietta del
1799!!... Ed anche tu
o povero mio paese
trionfi tra le glorie antiche
d'Italia
e le tue maioliche gelosamente custodite
formano l'ammirazione
dello spettatore! E l'Italia non le conserva
e li vende a vilissimo prezzo!...
» A proposito del Museo Napoleone III sottolineò: «Ivi è tutta la
collezione Campana
la più superba per i primi quadri della rinascenza
e
per le pregiatissime antichità etrusche! Ed i preti l'hanno venduta!...».
(vedi la lettera del 14 luglio 1862)
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