NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Disse Lapaccio: - Fratel mio, acconciami come ti piace e cavami di qui. Io ho a Firenze tanto di valuta, io te ne fo carta.
     Veggendo l'oste quanto costui era semplice, dice: - Doh, sventurato, che Dio ti dia gramezza! non vedestù lume iersera? oh! tu ti mettesti a giacere con un unghero che morì ieri dopo vespro.
     Quando Lapaccio udì questo, gli parve stare un poco meglio, ma non troppo; perocché poca difficoltà fece da essergli tagliato il capo, ad esser dormito con un corpo morto; e preso un poco di spirito e di sicurtà, cominciò a dire all'oste: - In buona fe' che tu se' un piacevol uomo! O che non mi dicevi tu iersera: egli è un morto in uno di quelli letti? Se tu me l'avessi detto, non che io ci fosse albergato, ma io serei camminato più oltre parecchie miglia, se io dovessi essere rimaso nelle valli tra le cannuccie; ché m'hai dato si fatta battisoffia che io non sarò mai lieto, e forse me ne morrò.

     L'abbergatore, che avea chiesto premio se lo campasse, udendo le parole di Lapaccio ebbe paura di non averlo a fare a lui; e con le migliori parole che potèo, si riconciliò insieme col detto Lapaccio. E 'l detto Lapaccio si partì, andando tosto quanto potea, guardandosi spesso in drieto per paura che la Ca Salvàdega nol seguisse, portandone uno viso assai più spunto che l'unghero morto, il quale gittò a terra del letto; ed andonne con questa pena nell'animo che non gli fu piccola, per un messer Andreasgio Rosso da Parma che aveva meno un occhio, il quale venne Podestà di Firenze; e Lapaccio si tornò, rapportando aver fatta elezione al detto Podestà ed esso l'avea accettata. Tornato che fu il detto Lapaccio a Firenze, ebbe una malattia che ne venne presso a morte.


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