NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Alla per fine voltosi al suo fante, il pregò per amor di Dio che si collasse nel pozzo, e togliesse un buon coltello appuntata ed una fune, ed o vivi o morti pensasse di legarli; ed egli e 'l figliuolo tirerebbon su la fune del pozzo, alla quale accomandasse li detti porci. Il fante bestia volle servire Torello, e preso il detto fornimento s'attaccòe alla fune del pazzo, e còllavìsi entro. Come fu giunto giuso, e 'l porco ferito gli dà di ciuffo alla gamba, e quanto ne prese tanto ne levò. Sentendo il fante il dolore del morso, comincia a gridare: - Accorr'uomo, oimè, oimè! - a sì alte voci che la vicinanza trasse, e truovano così fortunoso caso; e saputo come il fatta era ito, dicono a Torello: - In buona fé, tu hai fatto un bel risparmio; quando tu riaverai questi porci, faraccelo assapere; e peggio è ch'egli averanno morto questo buon uomo che v'entrò dentro.

     E fassi alcuno alla sponda dicendo: - Se' tu vivo?
     E quello dice: - Oimè, per Dio! tirate la fune ed io m'atterrò a essa per uscire di qui.
     E 'l porco in quell'ora anca l'assanna; ed egli si volge in su: - Oimè, tirate, ché, se voi non tirate, io son morto.
     Alla fine tirarono la fune, come se attignessero acqua; ed eccoti il tristo su con una gamba guasta e tutta stracciata, che più mesi ne penò a guarire, e gridava: - Oimè! Torello, a che partito me avete messo? io non serò mai più uomo.
     Torello dicea: - Sta' cheto; io ti farò medicare al maestro Banco che è molto mio amico; ma de' porci come si fa?
     Dice il fante: - Il pensiero sia vostro, che volete tòr l'arte a' tavernai.


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