Ora così avvenne, che per lo migliore si stette in pace, dicendo fra sé medesimo: "Che bestia son io? io avea sei crocifissi e sei me n'ho: io avea una moglie e una me n'ho (così non l'avess'io!); a darmi briga, potrò arrogere al danno, come al presente m'è incontrato; e s'ella vorrà esser trista, tutti gli uomini del mondo non la potrebbono far esser buona".
(Novella LXXXIV)
BURLE DI MERCANTI FIORENTINI
Benci Sacchetti trae ad una brigata un ventre della pentola, e mandaselo a casa per il fante e in scambio di quello mette nella pentola una cappellina.
N
ELLA città di Vinegia furono già certi mercatanti fiorentini, i quali per lunga dimora aveano presa amistà e compagnia insieme, per tale che le più volte mangiavano insieme, e spesso recava ciascuno la parte sua, e accozzavano insieme, e faceano tanisca; e per quello che io udisse già io scrittore da mio padre (il quale fu principio della presente novella), egli era uno Giovanni Ducci, Tosco Ghinazzi, Piero di Lippa Buonagrazia, Giovannozzo di Bartolo Fede, Noddo d'Andrea, ch'ancora è vivo, e Michel Cini, e Benci del Buon Sacchetti, e certi altri. Avvenne per caso che Giovanni Ducci, il Tosco e Piero di Lippo, faccendosi una vitella grassissima e bella, feciono borsa e comperarono il ventre, per mangiarlo la seguente domenica a cena, e fra loro puosono che niente se ne dicesse: ché, se gli altri compagni il sapessono, non lo potremmo avere in pace, poco ne toccherebbe per uno.
Disse il Tosco: - Così si vuol fare, ché io n'ho avuto voglia un gran pezzo: io intendo farne corpacciata.
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