E di costumi ad ambi grata sia,
Che lor comunemente soddisfaccia,
E non abbia d'aver mai gelosia.
E perché, dicea il re, vuo'che mi spiaccia
Aver più te ch'un altro in compagnia?
So ben ch'in tutto il gran femmineo stuolo
Una non è che stia contenta a un solo.
Una (senza sforzar nostro potere,
Ma quando il natural bisogno inviti)
In festa goderemoci e in piacere;
Ché mai contese non avrem né liti.
Né credo che si debba ella dolere;
Chè s'anco ogni altra avesse duo mariti,
Più ch'ad un solo, a duo saria fedele;
Né forse s'udirian tante querele.
Di quel che disse il re, molto contento
Rimaner parve il giovine romano.
Dunque fermati in tal proponimento,
Cercar molte montagne e molto piano.
Trovano alfin, secondo il loro intento,
Una figliuola di uno ostiero ispano,
Che tenea albergo al porto di Valenza,
Bella di modi e bella di presenza.
Era ancor sui fiorir di primavera
Sua tenerella e quasi acerba etade.
Di molti figli il padre aggravat'era,
E nimico mortal di povertade:
Si ch'a disporlo fu cosa leggiera,
Che desse lor la figlia in potestade;
Ch'ove piacesse lor potesson trarla,
Poiché promesso avean di ben trattarla.
Pigliano la fanciulla, e piacer n'hanno
Or l'uno or l'altro, in caritade e in pace,
Come a vicenda i mantici che dànno,
Or l'uno or l'altro, fiato alla fornace.
Per veder tutta Spagna indi ne vanno,
E passar poi nel regno di Siface;
E 'l dì che da Valenza si partiro,
Ad albergare a Zattiva veniro.
I patroni a veder strade e palazzi
Ne vanno e lochi pubblici e divini;
Ch'usanza han di pigliar simil sollazzi
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