NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Giunto Salardo alla presenza del marchese e veggendolo ancora nella faccia infiammato, fermò il suo altiero animo; e con asciutto viso ed aperto né da parte alcuna turbato, così li disse: - Signor mio, la servitù mia verso te e l'amore che io ti porto, non avevan meritato l'oltraggio e la vergogna che mi hai fatta condannandomi a vituperevole ed ignominiosa morte. E quantunque il sdegno preso per la mia gran follia, se follia dir si dee, voglia che tu contra tua natura in me incrudelisca, non però dovevi, senza udire la ragione, sì frettolosamente condannarmi a morte. Il falcone, per la cui pensata morte sei contra me focosamente adirato, vive ed è in quel stato che era prima; né io lo presi per ucciderlo né per oltraggiarti, ma per far più certa isperienza d'un mio celato oggetto: il quale ora ora ti sarà manifesto. - E chiamato Fransoe che ivi era presente, lo pregò che il falcone portasse e al caro e dolce suo padrone rendesse. E da principio sino alla fine li raccontò gli amorevoli comandamenti del padre e la contrafazione loro. Il marchese, udite le parole di Salardo che uscivano dalle intime parti del cuore, e veduto il suo falcone grasso e bello più che prima, quasi muto divenne. Ma poscia che alquanto in sé medesimo rivenne e considerò l'error suo in aver inavedutamente condannato lo innocente amico a morte, alciò gli occhi quasi di lagrime pregni, e guardando fiso nel volto di Salardo, così li disse: - Salardo, se ora tu potesti penetrare con gli occhi della parte di dentro del mio cuore, apertamente cenosceresti che la fune, che ti ha fin ora tenute. legate le mani, e il capestro, che ti ha circondato il collo, non hanno apportato a te tanto dolore quanto a me affanno, né tanta pena a te quanta a me doglia; né penso mai più viver lieto e contento, poi che in tal maniera ho offeso te che con tanta sincera fede mi amavi e servivi. E se possibil fusse che quello è già fatto si potesse annullare, io per me lo annullarei. Ma essendo ciò impossibile, sforzerommi con ogni mia possa di ristaurare in tal guisa la ricevuta offesa, che di me rimarrai contento. - Ciò detto, il marchese con le propie mani li trasse il capestro dal collo e le mani li sciolse, abbracciandolo con somma amorevolezza e più fiate basciandolo; e presolo con la destra mano, lo fece appresso sé sedere. E volendo il marchese che 'l laccio fusse posto al collo di Postumio per i suoi malvagi portamenti, ed impiccato, Salardo no 'l permesse; ma fattolo venire a sé innanzi, disseli tal parole: - Postumio, da me per Dio da fanciullo insino a cotesta età allevato, io di te sallo Iddio che non so che fare. Da l'una parte mi tira l'amore che io fin ora ti ho portato; da l'altra mi trae lo sdegno contra te per li tuoi mali gesti conceputo. L'uno vuole che come buon padre ti perdoni; l'altro mi essorta che contra te rigidamente m'incrudelisca. Che debbo dunque far io? Se io ti perdono, sarò mostrato a dito; se farò la giusta vendetta, farò contra lo divino precetto. Ma acciò che io non sii detto troppo pio né troppo crudele, torrò la via di mezzo: e da me non sarai corporalmente punito, né anche ti fia da me al tutto perdonato. Prendi adunque questo capestro che tu mi avevi avinchiato al collo, ed in ricompenso de' miei beni, che tu desideravi avere, lo porterai teco, ricordandoti sempre di me e del tuo grave errore: stando da me sì lontano, che mai non possi più sentir nova di te. - E così detto, lo scacciò da sé, e mandollo in sua mal'ora; né più di lui se intese novella alcuna. Ma Teodora, alle cui orecchie era già pervenuta la nova della liberazione di Salardo, se ne fuggì; e andatasene in un monasterio di suore, dolorosamente finì la vita sua. Indi Salardo, persentita la morte di Teodora sua moglie, chiese buona licenza dal marchese, e da Monferrato si partì ed a Genova ritornò: dove lietamente lungo tempo visse, e per Dio dispensò la maggior parte de' suoi beni, ritenendone tanti, quanti fussero bastevoli al viver suo.


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