NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Fortunio, tutto allegro per lo ricevuto dono, rendute prima quelle grazie ch'ei seppe e puotè, chiese da loro commiato, e si partì; e tanto camminò, che aggiunse a Polonia, città nobile e popolosa: il cui imperio teneva Odescalco re, molto potente e valoroso, il quale aveva una figliuola, Doralice per nome chiamata. E volendola onorevolmente maritare, aveva fatto bandire un gran torniamento nel suo regno; né ad alcuno intendeva in matrimonio copularla, se non a colui che della giostra fusse vincitore. E molti duchi, marchesi ed altri potenti signori erano già da ogni parte venuti per far l'acquisto del prezioso premio; e della giostra omai era passato il primo giorno, ed uno saracino, sozzo e contrafatto di aspetto, strano di forma e nero come pece, di quella superiore appareva. La figliuola del re, considerata la diformità e lordura del saracino, ne sentiva grandissimo dolore che ei ne fusse della onorata giostra vincente; e messasi la vermiglia guancia sopra la tenera e delicata mano, si attristava e ramaricava, maladicendo la sua dura e malvagia sorte: bramando prima 'l morire che di sì sformato saracino moglie venire.

     Fortunio, entrato nella città e veduta la onorevol pompa ed il gran concorso dei giostranti, ed intesa la causa di sì glorioso trionfo, si accese di ardentissimo desiderio di mostrare quanto era il suo valore nel torniamento. Ma perciò che era privo di tutte quelle cose che ai giostranti si convengono, dolevasi molto. E stando in questo ramarico ed alzando gli occhi al cielo, vide Doralice, figliuola del re, che ad una superba finestra appoggiata si stava: la quale, da molte vaghe e generose matrone circondata, non altrimenti pareva che 'l vivo e chiaro sole tra le minute stelle. E sopragiunta la buia notte, ed andatisene tutti ai loro alloggiamenti, Doralice mesta si ridusse sola in una cameretta non meno ornata che bella; e stando così solinga con la finestra aperta, ecco Fortunio, il quale, come vide la giovane, fra sé disse: - Deh, ché non sono io aquila? - Né appena egli aveva fornite le parole, che aquila divenne; e volato dentro della finestra, e ritornato uomo come prima, tutto giocondo e tutto festevole se le appresentò. La polcella, vedutolo, tutta si smarrì; e sì come da famelici cani lacerata fusse, ad alta voce cominciò gridare. Il re, che non molto lontano era dalla figliuola, udite le alte grida, corse a lei, ed inteso che nella camera era un giovane, tutta la zambra ricercò, e nulla trovando, a riposare se ne tornò; perciò che il giovane, fattosi aquila, per la finestra si era fuggito. Né fu si tosto il padre postosi a riposare, che da capo la polcella si mise ad alta voce gridare; perciò che il giovane, come prima, a lei presentato si aveva. Ma Fortunio, udito il grido della giovane, e temendo della vita sua, in una formica si cangiò, e nelle bionde trezze della vaga donna si nascose. Odescalco, corso all'alto grido della figliuola e nulla vedendo, contra di lei assai si turbò, e acramente minacciolla che, se ella più gridava, egli le farebbe uno scherzo che non le piacerebbe; e tutto sdegnato se ne partì, pensandosi ch'ella avesse veduto nella sua imaginativa uno di coloro che per suo amore erano stati nel torniamento uccisi. Il giovanetto, sentito del padre il ragionamento, e veduta la di lui partenza, la spoglia di formica depose e nel suo esser primo fece ritorno. Doralice, vedendo il giovane, subitamente si volse gittar giù dal letto e gridare, ma non puotè; perciò che il giovane le chiuse con una delle mani la bocca e disse: - Signora mia, io non sono qui venuto a torvi l'onore e l'aver vostro, ma per racconfortarvi ed esservi umilissimo servitore. Se voi più gridarete, una di due cose averrà: o che 'l vostro chiaro nome e buona fama fie guasta, o che voi sarete cagione della mia e vostra morte. E perciò, signora del cuor mio, non vogliate ad un tempo macchiare l'onor vostro e mettere a pericolo di amen duo la vita. - Doralice, mentre Fortunio diceva tal parole piangeva e si ramanicava molto; né poteva in maniera alcuna patire il paventoso assalto. Ma Fortunio, vedendo il perturbato animo della donna, con dolcissime parole che arrebbeno spezzato un monte, tanto disse e tanto fece, che addolcì l'ostinata voglia della donna; la quale, vinta dalla leggiadria del giovane, con esso lui si pacificò. E vedendo il giovane di bellissimo aspetto, robusto e delle membra sue benformato, e ripensando tra sé stessa alla bruttura del saracino, molto si doleva che egli dovesse della giostra esser vincitore e parimente della sua persona possessore. E mentre che ella seco ragionava, le disse il giovane: - Damigella, s'io avessi il modo, volentieri giostrerei; e dammi il cuore che della giostra sarei vincitore. - A cui rispose la donzella: - Quando così fusse, niun altro che voi sarebbe della persona mia signore. - E vedendolo tutto caldo e ben disposto a tal impresa, di danari e di gioie infinite l'accomodò. Il giovane, allegramente presi i danari e le gioie, addimandolla qual abito più le sarebbe a grado che egli si vestisse. A cui rispose: - Di raso bianco. - E sì come ella divisò, così egli fece.


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