Opere di letteratura italiana e straniera |
Ritornato Guerrino al re, gli disse ciò che il giovane gli aveva imposto. Il re, fatto venire un ottimo maestro da cavalli, gli ordinò che tanto facesse quanto da Guerrino gli fia comandato. Andatosi il maestro alla sua stanza, Guerrino seco se n'andò, e gli ordinò nel modo antedetto i quattro ferri da cavallo. Il che intendendo, il maestro non gli volse fare, ma, sprezzatolo, trattollo da pazzo, perciò che gli pareva una cosa nuova e non più udita. Guerrino, vedendo che il maestro lo deleggiava e non gli voleva ubidire, se ne andò al re, e lamentossi del maestro che servire non l'aveva voluto. Laonde il re, fattolo chiamare, strettamente gli ordinò, con pena della disgrazia sua, o che facesse ciò che gli era sta' imposto, o che egli andasse a far la impresa che Guerrino far doveva. Il maestro, vedendo che 'l comandamento del re stringeva, fece i ferri e messegli al cavallo, secondo che gli era sta' divisato. Ferrato adunque il cavallo e ben guarnito di ciò che fa mestieri, disse il giovane a Guerrino: - Monta sopra questo mio cavallo e vattene in pace; e quando udirai il nitrire del salvatico cavallo, scendi giù del tuo, e traeli la sella e la briglia, e lascialo in libertà: e tu sopra d'un eminente albero ascenderai, aspettando di quella impresa il fine. - Guerrino, ben ammaestrato dal suo diletto compagno di ciò che far doveva, tolta licenza, lietamente si partì.
Era già sparsa per tutta la città d'Irlanda la gloriosa fama che un leggiadro e vago giovanetto aveva tolta l'impresa di prendere il salvatico cavallo e appresentarlo al re. Il perché uomini e donne correvano alle finestre per vederlo passare: e vedendolo sì bello, sì giovanetto e sì riguardevole, si movevano a pietà, e dicevano: - Oh poverello, come volontariamente alla morte corre! certo gli è un grave peccato che costui sì miseramente muoia; - e per compassione dalle lagrime non si potevano contenere. Ma Guerrino, intrepido e virile, allegramente se n'andava; e giunto al luogo dove il salvatico cavallo dimorava, e sentitolo nitrire, scese giù del suo; e spogliatolo di sella e di briglia, e lasciatolo in libertà, salì sopra d'una forte querce, ed aspettò l'aspra e sanguinolente battaglia. Appena che Guerrino era asceso sopra l'albero, che giunse il salvatico cavallo, ed affrontò lo fatato destriere: ed ambedue cominciarono il più crudo duello che mai tasse veduto al mondo. Impercioché parevano duo scatenati leoni, e per la bocca gettavano la schiuma a guisa di setosi cinghiali da rabiosi cani cacciati; e dopo che ebbero valorosamente combattuto, finalmente il fatato destriere tirò un paio di calci al salvatico cavallo, e giunselo in una mascella, e quella dal luogo gli mosse. Il perché perdé la scrima di poter più guerreggiare né più difendersi. Il che vedendo, Guerrino tutto allegro rimase; e sceso giù della querce, prese un capestro che seco recato aveva, e legollo, ed alla città così smascellato il condusse, e con grandissima allegrezza di tutto il popolo, sì come promesso aveva, al re lo presentò. |