NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Occorse che dopo poco tempo sopravennne ad Andrigetto una grandissima infermità; la qual fu di tal maniera, che tutti i medici lo diero per morto e l'abbandonorono Gli amici ed i parenti, vedendo la sua infermità per lo detto de' medici esser mortale ed incurabile, con destro modo gli fecero intendere che si confessasse e ordinasse i fatti suoi, sì come appartiene ad ogni catolico e buon cristiano. Egli che era tutto dedito ad arricchirsi, né pensava giorno e notte ad altro che ingrandirsi, non temeva di morire, anzi deleggiava coloro che li rammentavano la morte; e facevasi recare ora una cosa or l'altra, prendendo di quelle trastullo e gioco. Or avenne che dopo molti stimoli degli amici e parenti, egli volse compiacerli; e comandò che Tonisto Raspante suo notaio e pre' Neofito suo confessore fussero chiamati, ché voleva confessarsi e ordinare i fatti suoi. Venuto il confessore e il notaio, s'appresentaro a lui; e dissero: - Messer Andrigetto, Iddio vi dia la vostra sanità. E come vi sentite? State di buon animo: non abbiate timore, ché tosto vi risanarete. - Rispose Andrigetto che era molto aggravato e che prima voleva ordinare i fatti suoi e poi confessarsi. Il confessore diede fede alle sue parole, essortandoto molto che si ricordasse di messer Domenedio e che si conformasse con la sua volontà, ché, così facendo, li restituirebbe la sua sanità.

     Andrigetto ordinò che fossero chiamati sette uomini, i quai fussero testimoni del suo nuncupativo ed ultimo testamento. Venuti i testimoni ed appresentatisi all'infermo, disse Andrigetto al notaio: - Tonisto, che vi viene per mercede di pregare un testamento? - Rispose Tonisto: - Secondo il capitolare de' notai, è un forino; poi, più e meno secondo vogliono i testatori. - Or, - disse Andrigetto, - prendene duo, e fa' che tu scrivi quanto io ti comanderò. - Il notaio di così far rispose. E fatta l'invocazione del divino nome, e scritto il millesimo, il giorno, il mese e la indizione, sì come sogliono far i notai nell'instromenti, in tal modo scrivere incominciò: "Io Andrigetto di Valsabbia, sano della mente, ancor che languido del corpo, lascio l'anima mia al mio creator Iddio, al qual io rendo quelle grazie, che per me si puolono le maggiori, de' tanti benefici quanti ho ricevuti". Disse Andrigetto al notaio: - Che hai tu scritto? - Rispose il notaio: - Io scrissi sì e sì; - e gli lesse di parola in parola tutto quello che l'aveva scritto. Allora Andrigetto, di sdegno acceso, disse: - E chi ti ha commesso che tu scrivi così? perché non attendi a quello che mi hai promesso? Scrivi a mio modo, in questa forma: "Io Andrigetto di Valsabbia, infermo del corpo e sano dell'intelletto, lascio l'anima mia al gran diavolo dell'inferno". - Il notaio ed i testimoni, udendo queste parole, rimasero fuori di sé e presero maraviglia non picciola; e guardando fissamente nel viso del testatore, dissero: - Ah! messer Andrigetto, ove è ora il vostro ingegno, ove è ora il vostro sapere? Sete voi divenuto pazzo? Gli insensati ed i furiosi useno tal parole. Deh, non fate per l'amor che voi portate a Iddio, perciò che è contra l'anima e l'onor vostro, e vituperio di tutta la famiglia vostra! Gli uomini che fino ora vi hanno riputato prudente e saggio, vi teneranno il più trascurato, il più perfido e il più traditore che mai la natura creasse, perciò che, sprezzando voi il bene e l'utel vostro, molto maggiormente sprezzereste quello d'altrui. - Allora Andrigetto, infiammato come bragia di fuoco, disse al notaio: - Non ti dissi io che tu scrivesti com'io ti dissi? Non ti pagai oltre il devere, acciò che tu scrivesti quanto io diceva? - Rispose il notaio: - Signor sì! - Adunque - disse il testatore - nota e scrivi quello che ti dico, e non scrivere quello che non voglio. - Il notaio, che vorrebbe esser digiuno, vedendo il suo fiero proponimento e temendo che per sdegno non morisse, scrisse tutto quello che di sua bocca ordinò. Indi disse Andrigetto al notaio: - Scrivi: "Item lascio l'anima di Tonisto Raspante mio notaio al gran Satanasso, acciò che ella faccia compagnia alla mia, quando di qua si partirà". - Ah! messere, mi fate ingiuria, - disse il notaio, - togliendomi l'onore e la fama. - Or segui, malvagio, - disse il testatore, - e non mi turbare più di quel ch'io sono. Io ti pagai, e molto più di quello che meritavi, acciò che tu scrivi a modo mio. Scrivi adunque in mal'ora così: "Perciò che, se egli non mi avesse consentiti e scritti tanti illiciti ed usurari contratti ma mi avesse scacciato da sé, io ora non mi troverei in tanto laberinto. E perché egli allora fece più stima del danaro che dell'anima mia e sua, però quella raccomando e do nelle mani di Lucifero". - Il notaio, che temeva molto di non aggiungere mal a male, scrisse quanto egli gli disse. Dopo disse: - Scrivi: "Item lascio l'anima di pre' Neofito, mio confessore, qua presente, ai trenta mila paia di diavoli". - Or che dite voi, messer Andrigetto mio? - disse il confessore. - Sono queste parole da uomo prudente, come voi siete? Deh, non dite così! Non sapete voi che messer Gesù Cristo è misericordioso e pio, e sempre sta con le braccia aperte aspettando che egli venga a penitenza e si chiami in colpa di suoi peccati? Chiamatevi adunque in colpa de' vostri gravi ed enormi delitti, e chiedete pendonanza a Dio, ch'egli largamente vi perdonerà. Voi avete il modo di restituire; e facendo la restituzione, Iddio, che è misericordioso e che non vole la mo rte del peccatore, vi perdonerà e daravvi il paradiso. - Rispose Andrigetto: - Ahi, scelerato prete, confusione dell'anima tua e mia, pieno di avarizia e simonia, ora mi dai consiglio! Scrivi, notaio, ch'io lascio l'anima sua nel centro dell'inferno, perciò che, se non fosse stata la pestilenziosa sua avarizia, egli non mi arrebbe assolto, né io arrei commessi tanti errori, né mi troverei nel stato ove ora mi trovo. Parti onesto e convenevole ch'io restituisca la mal tolta robba? Parti giusto ch'io lascia e' miei figliuoli poveri e mendici? Lascio adunque questo consiglio ad altrui, ché ora noi voglio. Scrivi ancora, notaio: "Item lascio a Felicita, mia innamorata, un podere posto nelle valli di Comacchio, acciò che ella possa avere il vitto ed il vestito e darsi piacere e buon tempo con gli suoi amatori, si come sempre ha fatto, e nel fine della vita sua ella venga a trovarmi nello oscuro baratro infernale, ed insieme con noi tre sia tormentata di eterno supplicio. Il residuo veramente di tutti e miei beni, mobili ed immobili, presenti e futuri, in qualunque modo a me aspettanti ed appartinenti, lascio a Comodo e Torquato miei figliuoli legittimi e naturali, pregandoli che non vogliano far dire né messa né salmo per l'anima mia, ma che attendino a giocare, puttaneggiare, armeggiare e far tutte quelle cose che sono più detestabili ed abominevoli, acciò che la mia facoltà indebitamente acquistata vada in breve tempo in mal'ora, e gli figliuoli, per la perdita disperati, sé stessi si sospendano per la gola. E questa voglio sia l'ultima mia volontà, e così voi tutti, testimoni e notaio, vi prego". - Scritto e pubblicato il testamento, messer Andrigetto volse la faccia verso il pariete; e tratto un mugito che d'un toro parse, rese l'anima a Plutone che sempre stava ad aspettarla. Ed in tal modo il tristo e scelerato Andrigetto, inconfesso ed impenitente, la lorda e scelerata sua vita finì.


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