NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


Pagina 32
1-40- 80-120- 160-200- 240-280- 320-360- 400-440- 480-520- 560-600- 640-680- 720-745

[Indice]

     Linquo, coax ranis, cra corvis vanaque vanis:
     Ad loycam pergo, quae mortis non timet ergo:

     Io lascio alle rane il gracidare e a' corvi il crocitare, e le cose vane del mondo agli uomini vani; e io me ne vado a tale loica, che, non teme la conclusione della morte: cioè alla Santa Religione. E così abbandonando ogni cosa, si fece religioso, santamente vivendo in sino alla morte.



     UNA VISIONE DI PURGATORIO

     L
     EGGESI iscritto da Elinando, che nel contado di Niversa fu uno povero uomo, il quale era buono e temente Iddio che era carbonaio, e di quella arte si vivea. E avendo egli accesa la fossa de' carboni una volta, e sendo la notte in una sua capannetta a guardia della incesa fossa, sentì in su l'ora della mezza notte grandi strida. Uscì fuori per vedere che fosse, e vide venire in verso la fossa, correndo e stridendo, una femmina iscapigliata e ignuda; e dietro le venia uno cavaliere in su uno cavallo nero correndo, con uno coltello ignudo in mano; e della bocca e degli occhi e del naso del cavaliere e del cavallo uscia fiamma di fuoco ardente. Giugnendo la femmina alla fossa, ch'ardea, non passò più oltre, e nella fossa non ardiva di gittarsi; ma correndo intorno alla fossa, fu sopraggiunta dal cavaliere, che dietro le correa; la quale traendo guai, presa per li svolazzanti capelli, crudelmente la ferì per lo mezzo del petto col coltello che tenea in mano. E cadendo in terra, con molto ispargimento di sangue, sì la riprese per li insanguinati capelli, e gittòlla nella fossa de' carboni ardenti; dove lasciandola stare per alcuno spazio di tempo, tutta focosa e arsa la ritolse; e ponendolasi davanti in su 'l collo del cavallo, correndo se n'andò per la via dond'era venuto. La seconda e la terza notte vide il carbonaio la simile visione. Donde, essendo egli dimestico del conte di Niversa, tra per l'arte sua de' carboni, e per la bontà la quale il conte, ch'era uomo d'anima, gradiva, venne al conte, e dissegli la visione che tre notti avea veduta. Venne il conte col carbonaio al luogo della fossa; e vegghiando insieme nella capannetta, nell'ora usata venne la femmina stridendo, e 'l cavaliere dietro, e feciono tutto ciò che 'l carbonaio avea veduto. Il conte, avvegna che per lo orribile fatto ch'avea veduto, fosse molto spaventato, prese ardire. E partendosi il cavaliere ispietato colla donna arsa attraversata in su 'l nero cavallo, gridò iscongiurandolo che dovesse ristare, e sporre la mostrata visione. Volse il cavaliere il cavallo, e fortemente piangendo, si rispose e disse: Da poi, conte, che tu vuoi sapere i nostri martini, i quali Iddio t'ha voluto mostrare, sappi ch'io fu' Giuffredi tuo cavaliere, e in tua corte nodrito. Questa femmina, contro a cui io sono tanto crudele e fiero, è dama Beatrice, moglie che fu del tuo caro cavaliere Berlinghieri. Noi prendendo piacere di disonesto amore l'uno dell'altro, ci conducemmo a consemtimento di peccato; il quale a tanto condusse lei, che per potere fare più liberamente il male, uccise il marito. E perseverammo nel peccato in fino alla 'nfermità della morte; ma nella infermità della morte, in prima ella e poi io tornammo a penitenzia; e confessando il nostro peccato, ricevemmo misericordia da Dio, il quale mutò la pena eterna dello 'nferno in pena temporale di purgatorio. Onde sappi che noi non siamo dannati, ma facciamo in cotale guisa, com'hai veduto, per nostro purgatoro; e averanno fine, quando che sia, nostre gravi pene. E domandando il conte che gli desse ad intendere le loro pene più specificatamente, rispose con lagrime e sospiri: Imperò che questa donna per amore di me uccise il suo marito, l'è data questa penitenzia, che ogni notte, tanto quanto istanziato la divina giustizia, patisce per le mie mani duolo di penosa morte di coltello. E imperò ch'ella ebbe in ver' di me ardente amore di carnale concupiscenzia, per le mie mani ogni notte è gittata ad ardere nel fuoco, come nella visione vi fu mostrato. E come già vedemmo con grande disio e con piacere di gran diletto, così ora ci veggiamo con grande odio e ci perseguitiamo con grande isdegno. E come l'uno fu cagione all'altro d'accendimento di disordinato amore, così l'uno è cagione all'altro di crudele tormento: ché ogni pena ch'io fo patire a lei, sostegno io; ché 'l coltello di che io la ferisco, tutto è fuoco che non si spegne; e gittandola nel fuoco e traendonela e portandola, tutto ardo io di quello medesimo fuoco ch'arde ella. E 'l cavallo sì è uno demonio, al quale siamo dati, che ci ha a tormentare. Molte altre sono le nostre pene. Pregate Iddio per noi: e fate limosine e dire messe, acciò che si alleggienino i nostri martini. E, questo detto, sparì, come saetta folgore.


[Pagina Precedente] - [Indice] - [Pagina Successiva]