Pervenuti adunque a casa d'Arriguccio ed entrati dentro, cominciarono a salir le scale; li quali monna Sismomda sentendo venire, disse: - Chi è là?
Alla quale l'un de' fratelli rispose: - Tu il saprai bene, rea femima, chi è.
Disse allora monna Sismomda: - Ora che vorrà dir questo? Domine aiutaci! - e levatasi in piè disse: - Fratelli miei, voi siate i ben venuti; che andate voi cercando a questa ora quincentro tutti e tre?
Costoro, avendola veduta a sedere e cuscire e senza alcuna vista nel viso d'essere stata battuta, dove Arriguccio aveva detto che tutta l'aveva pesta, alquanto nella prima giunta si meravigliarono e rifremarono l'impeto della loro ira, e domandaronla come stato fosse quello di che Arriguccio di lei si doleva, minacciandola forte se ogni cosa non dicesse loro.
La donna disse: - Io non so ciò che io mi vi debba dire, né di che Arriguccio di me vi si debba esser doluto. - Arriguccio, vedendola, la guatava come smemorato, ricordandosi che egli l'aveva dati forse mille punzoni per lo viso e graffiatogliele e fattale tutti i mali del mondo, e ora la vedeva come se di ciò niente fosse stato. In brieve i fratelli le dissero ciò che Arriguccio loro aveva detto e dello spago e delle battiture e di tutto.
La donna, rivolta ad Arriguccio, disse: - Oimè, marito mio, che è quel ch'io odo? perché fai tu tener me rea femina con tua gran vergogna, dove io non sono, e te malvagio uomo e crudele di quello che tu non se'? e quando fostù questa notte più in questa casa, non che con meco? o quando mi battesti tu? io per me non me ne ricordo.
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