NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTO


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     Quivi, pensando che quanti moccoli ricoglieva in tutto l'anno d'offerta non valevan la metà di cinque lire, gli parve aver mal fatto, e pentessi d'aver lasciato il tabarro e cominciò a pensare in che modo riavere lo potesse senza costo. E per ciò che alquanto era maliziosetto, s'avvisò troppo bene come dovesse fare a riaverla, e vennegli fatto: per ciò che il dì seguente, essendo festa, egli mandò un fanciul d'un suo vicino in casa questa monna Belcolore e mandolla pregando che le piacesse di prestargli il mortaio suo della pietra, però che desinava la mattina con lui Binguccio del Poggia e Nuto Buglietti, sì che egli voleva far della salsa. La Belcolore gliele mandò. E come fu in su l'ora del desinare, e 'l prete appostò quando Bentivegna del Mazzo e la Belcolor manicassero; e, chiamato il cherico suo, gli disse: - Togli quel mortaio e riportalo alla Belcolore, e di': "Dice il sere che gran mercé, e che voi rimandiate il tabarro che 'l fanciullo vi lasciò per 'ricordanza". - Il cherico andò a casa della Belcolore con questo mortaio e trovolla insieme con Bentivegna a desco che desinavano. Quivi, posto giù il mortaio, fece l'ambasciata del prete.

     La Belcolore, udendosi richiedere il tabarro, volle rispondere; ma Bentivegna con un mal viso disse: - Dunque toi tu ricordanza al sere? fo voto a Cristo, che mi vien voglia di darti un gran sergozzone: va, rendigliel toste, che canciola te nasca: e guarda che di cosa che voglia mai, io dico s'e' volesse l'asino nostro, non ch'altro, non gli sia detto di no.


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