LA PETRUCCIA SI FA FRATE
Don Placido fiorentino si accompagna a Nizza di Provenza con un frate per andare ad Avignone, ov'era la corte dei Papa. Come si scuopre essere il frate una gentildonna di Viterbo che andava a trovare un cardinale. Fortune di don Placido sì pel viaggio che all'arrivo ad Avignone.
I
N Val di Pesa, contado di Firenze, fu già un prete, che aveva nome don Placido, il quale, per certo impaccio che gli fu dato, si deliberò d'andare in Avignone. E così si mise in,concio e andò a Pisa; e quivi entrò in barca e andò per mare infino a Nizza di Provenza, dove smontò ed alloggiò all'albergo d'uno che si chiamava Bartolomeo da Siena. Ed essendo nel letto il detto prete, un valletto, famiglio di quello oste, venne al letto di lui, e gli disse: - Messere, e' c'è alloggiata una coppia di frati, e l'uno d'essi sta molto male; e perché in questa terra c'è stata la mortalità, ci ha caro di preti, e però io vi priego per Dio che vi piaccia venire infino a lui a vedere com'egli sta. - Rispose il prete: - Molto volentieri. - E subito si vestì e venne nella camera dov'eran questi due frati. Disse l'uno: - Messere, io vi raccomando questo mio compagno e padre. - Per che il prete salse su 'l letto, e cominciò a confessare quest'altro frate più vecchio, e cominciò a rammentargli il bene dell'anima sua, dicendogli e pregandolo che s'acconciasse con messer Domeneddio. Di che il frate non ne volse udir niente, ma più tosto come disperato ivi a poco si morì. Questo frate più giovane ch'era rimaso, veggendo l'altro morto, cominciò a fare un dirotto pianto. Dove il prete lo confortava, pregandolo che si desse pace, ché tutti erano mortali. E così poco stante, il prete tolse commiato dal frate per tornarsi alla camera sua; onde il frate a lui disse: - Messere, io vi prego per Dio, che vi piaccia di non mi abbandonare, che voi troviate modo di far questo morto sotterrare, e fategli quanto onore che voi potete. - E cavòssi dal lato una borsa, nella quale aveva forse trenta fiorini di moneta, e disse: - Tenete e fate le spese, e pagate ciò che costa. - ll prete prese questa borsa, e fe' chiamare e fanti e valletti dell'oste, e a ciascuno diè danari da vino, e poi li mandò a fornire ciò che bisognava per la sepoltura: onde la mattina fu fornito ogni cosa, e con quello onore che gli si poté fare, il fece riporre. Poi che 'l prete ebbe pagato ogni cosa, tornò all'altro frate giovane, e sì lo confortò e rendègli la borsa con lo avanzo de' danari. Questo frate piangendo, domandò il prete dov'egli andava. Disse il prete: - Io vo ad Avignone. - Disse il frate: - Io verrei volentieri con esso voi. - Rispose il prete: - Io sono apparecchiato a tenervi compagnia volentieri, però che meglio è andare noi accompagnati che andan soli. - Di che il frate alzò il viso, e tutto si rallegrò. Il prete lo guardò negli occhi, e non gli parve mai vedere più begli occhi che quelli. E per farvi chiari, questo frate era femina, ed era gentildonna di Viterbo, come voi udirete: pure il prete si credeva che fosse maschio, e maravigliòssi che vide così begli occhi e così dilicato viso. E quando furono rimasti d'accordo d'andare insieme, il frate diede al prete fiorini cinquanta, e dissegli: - Fate le spese, e pagate questo oste di ciò ch'e' deve avere. - Il prete tolse i detti danari e pagò l'oste; e poi montarono a cavallo, e si dirizzarono verso Avignone. Il frate per non esser conosciuto andava molto turato, messo il viso tra lo scapolare e il cappello, e favellava poco, e sempre cavalcava addietro. Il prete credeva ch'e' lo facesse per maninconia e dolore ch'egli avesse del frate ch'era morto; ond'e' cominciò a dire alcuna canzonetta, e a piacevoleggiare per cavargli la maninconia: e 'l frate sempre cheto e pensoso col capo basso.
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